venerdì 7 luglio 2017

Starnuti. Racconti brevi.


Starnuti. Racconti brevi.




$29




A “Short Story” 
Tipologia: un breve racconto di Simone Faresin.
Fonte: un fatto reale, un biglietto da visita incontrato per strada 
e un curioso errore di battitura.

1º Racconto della Serie: “Starnuti. Racconti brevi” 


$29


“Niente male come inizio” fisso la porta socchiusa 
e quasi mi scappa un sospiro demoralizzato, doveva stare chiusa. 
Mi guardo intorno e non vedo nessuno, estraggo la pistola senza fare rumore 
e tolgo la sicura. Mi avvicino con passi felpati, sospingo lentamente la porta 
e indietreggio alzando l’arma. Aspetto un istante in silenzio, 
sento solo le macchine passare veloci come folate di vento 
lungo la strada principale. 




Entro, l’odore acre delle sigarette aggredisce il mio olfatto 
e mi sguinzaglia lunga la schiena una breve scarica di adrenalina 
pensando che Riad non fuma. 

La stanza è profonda e avvolta nell’oscurità, 
la porta a sinistra aperta conduce al bagno, 
è l’unico nascondiglio possibile o sotto al letto. 
Dalla persiana filtra un fascio di luce che corre dal pavimento fino al soffitto 
rivelando il fumo a galleggiare ancora a mezz’aria, il letto scomposto 
e a destra il comodino e il corpo di Riad accasciato lì in basso 
tra cassetti divelti e carte sparse. 

Silenzio. Sono l’unico vivo qui dentro. 
Per scrupolo mi abbasso a guardare sotto al letto, accendo la torcia 
e incontro: pacchetti di patatine vuoti, 
intravedo uno scarafaggio a nascondersi dietro ad un bicchiere di plastica, 
briciole, una lattina 
e  vicino al corpo di Riad c’è il suo telefono e anche qualcos’altro, 
sembra un foglio accartocciato. 
Vado al bagno, mi affaccio di scatto e ritraggo subito la testa, 
vuoto e in ordine. Torno da Riad. 
Lo illumino con la torcia standogli vicino, la faccia è un disatro, 
gliel’hanno spaccata con uno dei cassetti del comodino. 
Riad ha le mani legate dietro alla schiena in una posizione scomoda, 
mi fa pena, dev’essere stata una fine lenta e dolorosa 
con la faccia a spaccarsi ad ogni colpo 
e vedere il volto folle dell’assalitore mentre rincarava la dose. 
Mi accorgo che sto pestando con il piede uno dei denti di Riad. 
Indietreggio, l’odore del sangue mi si sta già incollando addosso. 
L’oscurità della stanza mi aiuta a concentrarmi 
nonostante il tanfo acre delle sigarette. 

Ricordo che non ho incrociato nessuno lugo il cammino, 
penso in quale direzione possano essere andati 
o dove possa essere andato l’assassino 
ma sono quasi certo che erano in due. 

Uno è rimasto in piedi a fumare standosene dietro alla porta 
e un altro molto forte ha assalito Riad 
fino a potergli legare le mani dietro la schiena 
e poi l’ha brutalmente massacrato, sicuramente solo dopo averlo interrogato. 
Mi sono assentato per 45 minuti, il tempo di fumare due sigarette con calma 
tra una domanda e l’altra, trovo i due mozziconi per terra, 
curioso che li abbiano lasciati lì. 
Lo sanno tutti che la Polizia ci trova il dna di un’uomo 
su di un mozzicone di sigaretta. 
Quindi il tizio che fuma o è arrogante o è molto ignorante 
o tutte e due le cose. 

Devo fare qualcosa subito, avvisare Lopes e gli altri 
ma come glielo spiego che mi sono assentato per 45 minuti? 
Potrebbero anche pensare che sono complice, che mi hanno comprato, 
le informazioni di Riad sono testimonianze sporche 
che possono insudiciare il buon nome di molta gente influente 
e scatenare la vergogna di tante altre. 
Lopes non mi ha raccontato dettagli 
ma la protezione per Riad era necessaria 
a causa di alcune informazioni di valore, 
nessuno le vorrebbe conoscere certe verità 
ma i ricatti in politica e negli affari sono essenziali.  
Notizie che anche dopo anni sono ancora calde come carogne fresche, 
valgono sempre caro, o meglio, valevano. 

Osservo la sagoma immobile di Riad. 

Penso a Lopes e alla delusione che potrei dare a tutto il gruppo. 
“Potrebbero uccidermi per questo?” 
Ho paura a non avere la certezza di poter rispondere “No”. 
Devo andarmene, ma la fuga è sempre una prova di colpevolezza. 
Iniziativa. Devo tentare di risolvere questo casino da solo, 
ho almeno quattro ore di tempo prima che qualcuno se ne accorga, 
sempre che non mi abbiano già venduto o dato per morto. 
Nel frattempo mi invento una storia, 
non posso spiegare dove stavo in quei fatidici 45 minuti 
o mi ammazzano sul serio.  

Torno con la torcia vicino al cadavere, 
faccio attenzione a non calpestare altri denti o altri brandelli sparsi di Riad, 
cerco il telefono e quello che sembrava un foglio accartocciato, 
potrebbe averli buttati all’ultimo istante sotto al letto. 
Il telefono è ancora acceso e non ha il pin; il biglietto non è accartocciato, 
ha pieghe regolari e una forma, è un origami. 
Lo apro e si rivela un biglietto da visita 
di un import-export & audio-visual productions 
che opera in Portogallo, Mozambico, Ghinea Bissau, Principe e São Tomé 
e anche India, ammazza che giri ma non vedo la connessione tra 
un Assistent Producer come questo Ayaz scritto sull’altro lato del bdv 
con un ricettatore topo di fogna come Riad. 
Ayaz Mbate, ha un ufficio a Idanha-Belas in Portogallo e uno qua in città. 
Dove cazzo sta Idanha-Belas in Portogallo? Mai sentita. 
Ripiego l’origami e lo intasco; ispeziono le tasche di Riad, sono vuote. 
Guardo tra le carte sparse e tra i pochi oggetti sepolti: niente di interessante. 
Passo al telefono e cerco tra le ultime chiamate: Lopes, Mauro, Luisa 
e due numeri non registrati. 
Mi stupisco a vedere che l’ultima chiamata è proprio con Lopes, 
controllo l’ora, 55 minuti fa, ero appena uscito. 
Mi ricordo che stava al telefono con Luisa, la sua presunta fidanzata. 
Quindi ha poi parlato con questo Mauro e con Lopes. 
Controllo le chiamate ricevute, nada, solo chiamate senza risposta 
da quei due numeri misteriosi. L’hanno cercato a inizio pomeriggio, 
ricordo di aver sentito suonare quella cavolo di suoneria pimba 
ma Riad non rispondeva mai a numeri sconosciuti. 
Controllo la sim di Riad, ha solo 36 contatti in agenda, curioso, 
sono pochi per uno che conosce tutti. 
Spazio per registrare contatti nuovi non gli mancava. 
Controllo i messaggi: in entrata solo un messaggio di Lopes. 

Riad ho visto l’e-mail ma non ho capito, sono 29 cosa? 29 mila? Sei matto? 
Vuoi 29 mila dollari per questa informazione? Mi prendi per il culo? 
Hai per caso scoperto che anche il Papa è gay e s’incula il bue e l’asinello? 

Non sapevo che Lopes sapesse fare battute 
ma mi sembra un tono molto alterato conoscendo la compostezza del capo 
specialmente nel gestire i contatti con ‘i clienti’ come li chiama lui. 
Lopes è un protettore, arrugginito ma si sente ancora forte sulla piazza, 
fa l’arrogante per via della squadra speciale di soldati sempre pronti all’azione 
che lo accompagna da ogni parte. 
E i suoi spietati segugi non tarderanno a scovare anche me 
se non risolvo rapidamente questo casino. 
Tra i messaggi in uscita ce n’è uno 
indirizzato al primo dei due numeri sconosciuti: 

Chi sei? 

Nient’altro. 

Chiamo Luisa, spento.
Chiamo Mauro, risponde quasi subito << Riad, allora, puoi parlare adesso? >> 
non parla correttamente portoghese, straniero, voce pacata, sui 50.
Chiedo convinto << Mauro? >> lui esita un istante prima di rispondere 
<< Sì, e io con chi sto parlando invece? >> improvviso 
<< Sono Felix, socio di Riad, dobbiamo vederci subito e parlare.>> ... Silenzio 
<< Sì, ma Riad? >> << Rispondo io per lui, Riad ha un affare più serio da gestire.>> 
Mi risponde subito << Più serio dei documenti che ho trovato? 
A me pareva tanto entusiasta quando ne abbiam parlato... >> 
<< Mauro caro,  nessuno vuole sminuire il valore della tua merce... >> 
faccio il professionista 
<< ...semplicemente ci incontriamo prima noi due e ne parliamo, 
che ne dici tra un’ora a quel caffè Libanese all’incrocio do Ponto Final? 
Ti invio adesso un messaggio con il mio numero, ok? >> 
<< Ok, non conosco il caffè Libanese ma conosco Ponto Final, 
ci vediamo lì tra un’ora. >> chiudo. 
Il tizio è rimasto calmo e tranquillo per tutta la conversa 
come se già ci conoscessimo, forse è solo molto ingenuo. 

Chiamo il primo numero sconosciuto, 
quello che non ha risposto ancora al messaggio, 
sta suonando, attendo ancora, qualcuno risponde finalmente, 
ma non parla... 
Silenzio... 

Rimango di sasso in ascolto. Non respiro neanche. 
La chiamata viene chiusa di colpo. 
Nove secondi, ma sono sembrati interminabili. 

Chiamo il secondo numero sconosciuto, spento. 

Mi registro il numero di Luisa, di Mauro e i due sconosciuti. 
Mando l’sms a Mauro con il mio numero. 
Intasco entrambi i telefoni. Respiro a fondo. 
“Posso farcela, risolvo questa situazione di merda e ne esco pulito 
o raccimolo quattro soldi e sparisco di corsa, meglio avvisare Johannesburg...” 
Spio dalla persiana prima di uscire fuori, mi sento troppo allo scoperto 
ma non posso uscire tenendo la pistola tra le mani, 
la tasca della giacca è troppo piccola per nasconderci il ferro, cazzo. 
Percorro mentalmente i venti metri che mi separano dalla jeep, 
forse chiunque siano i sicari non sono armati, che cazzata, andiamo. 
Entra un messaggio nel mio telefono, è Mauro: 
<< i documenti li porto con me? Tanto è un luogo pubblico, stiamo tranquilli? 
Vengo con un taxi. >> La domanda mi distrae momentaneamente 
dalla preoccupazione di uscire allo scoperto. 
“Questo è un ingenuo, mo me lo lavoro per bene” gli rispondo 
<< Ok ma evita questi messaggi até logo. >> 

Andiamo, esco, sembra faccia già più freddo, 
la porta non fa nessun rumore fino al clack di chiusura. 

Il tintinnio delle chiavi mentre chiudo con una sola mandata 
sembra avere un pubblico di centinaia di ascoltatori, mi sento osservato, 
sguardi a trafiggermi la schiena. 

Silenzio, un silenzio che incomoda, 
neanche le macchine a passare lungo la strada, 
sento solo il mio respiro aumentare, 
cammino deciso verso la jeep, scruto con gli occhi ogni ombra, 
entra una chiamata sul telefono di Riad, non posso rispondere adesso, 
mi osservo intorno aspettandomi di distinguere una figura al telefono tra le ombre, 
salgo sulla jeep maledicendo questa suoneria da tamarro che aumenta di volume, 
accendo e parto sgommando, fari abbaglianti e scosto la giacca di lato 
per poter estrarre più rapidamente la pistola se fosse necessario. 
Passati duecento metri mi tranquillizzo, adesso è solo guidare. 

Aspetto che s’interrompa la chiamata prima di prendere in mano il telefono di Riad. 
Era il primo numero sconosciuto. Accelero. 

Ponto Final è ancora trafficata a quest’ora. 
Decine di figure in attesa degli chapa
bancarelle ancora aperte lungo il marciapiede, 
le venditrici di pão e badjia sono ancora sedute all’angolo, 
mi concedo un caffè, ne ho bisogno. 
I cobrador ad annunciare le destinazioni 
e ad incoraggiare i viaggiatori a salire al volo, 
a fare depressa. Penso a Mauro, rivedo Riad con la faccia spaccata, 
non riuscirò mai più a pensare a lui senza rivedere quello sfacelo di faccia, 
ma come l’hanno ridotto, bastardi. In quale cazzo di storia s’era cacciato Riad? 
Cosa sapeva? Mauro fa parte di questa storia? 
“E se non c’entra un cazzo? Sei un coglione e stai perdendo tempo prezioso, 
meglio informare Lopes, forse lui sa cose che tu non sai 
e che potrebbero aiutare a risolvere questo brutale omicidio. 
Cristo santo non c’ero, io non ero lì a proteggerlo... Merda.” 

Il caffè mi cade malissimo, lo stomaco sembra tutto attorcigliato per la tensione, 
non è neanche buono, mi lascia un saporaccio in bocca. 
Un taxi accosta all’incrocio, lo stomaco si agita, 
questo caffè ha solo creato più confusione nella mia pancia 
e devo sciacquarmi la bocca, ho sete, voglio bermi un litro d’acqua. 
Il taxi è ancora fermo, nessuno ha ancora aperto la porta, 
tutto il resto dell’Avenida è in movimento, in sorpasso, 
sgasando tutti come in una corrida, 
come puzza questa merda di città. 
Forse questa storia è davvero un’opportunità per andarsene. 

Troppi pensieri, ho bisogno di farmi, 
devo poter pensare con calma ma non posso, 
ho solo tre ore di tempo, poi sarò costretto a fare rapporto. 
Non voglio morire, questi mi ammazzano, meglio fuggire. 
Vendo macchina, pistola e fucile e ho già i soldi per arrivare fino a Johana. 
Finalmente il passeggero sta per scendere, mi suona il telefono, Mauro. 
Osservo il passeggero del taxi, 
bianco, sui 50, sta al telefono senza parlare, è lui. 
“Cazzo sto facendo a recitare mentre Riad sta morto in camera sua? 
E se Lopes è coinvolto nell’omicidio? Cosa cazzo faccio?” 
Gli faccio cenno, rimango serio, nessun sorriso, 
lui invece si presenta con un sorriso espansivo 
nonostante la diffidenza traspare da ogni suo gesto  
e da ogni verso che gli esce dalla bocca. << Felix? >> 
<< Ya. >> 
Osserva la tazzina vuota e mi chiede << Com’è questo caffè dei Libanesi? >> 
È italiano, lo capisco dall’accento, meglio non creargli false aspettative, 
gli rispondo: << il caffè è una merda. Come sono invece le tue informazioni? >> 
Si accomoda al tavolino e mi scruta, rimango impassibile, 
lo stomaco sembra avere un palloncino dentro che si muove 
contorcendosi da una parte all’altra senza scoppiare. 
Mauro estrae dallo zainetto che portava in spalla una cartelletta rigida rossa, 
mentre la poggia sul tavolino mi osserva perplesso. 
<< Me lo dovete dire voi se sono interessanti o no. 
Riad si era già offerto di aiutare il mio progetto in cambio di questi documenti, 
quindi devono valere molto. >>  Sorride speranzoso. 
Per fortuna che Mauro è uno che parla e non se ne sta con la bocca cucita, 
osservo fisso la cartelletta, lui se ne accorge e me la passa. 
La apro senza fretta come se non avessi voglia di dover esaminare cada pezzo di carta, 
sono fotocopie ancora tiepide di stampa, alzo lo sguardo verso Mauro 
che si giustifica sorridendo << Una precauzione. >> 

Mi sembra che stia giocando a fare la spia, 
forse sto davvero perdendo tempo, mi concentro sul primo foglio, 
il documento originale doveva essere molto sporco o bagnato ma ancor si legge: 

“Relatorio sulle attività di Ayaz Mbate in Mozambico. 2012 – 2017” 

Rimango fisso a rileggere il titolo almeno tre  volte, 
senza muovere un muscolo della faccia. 
“Ayaz, l’Assistent Producer internazionale, il tipo del biglietto da visita 
che ho trovato sotto al letto di Riad...” Sento l’origami nella mia tasca. 

Continuo a sfogliare, vorrei fermare il tempo e leggere tutto avidamente. 
Pagine piene di informazioni, poche foto e neanche molto comprensibili, 
poi un elenco di numeri e titoli, inizia in sequenza numerica dal 400 fino al 747. 
I titoli sembrano più capitoli. L’originale non sta affatto in buone condizioni. 
Ripenso alle cartacce sparse nella stanza dove giace il cadavere di Riad, la sua faccia... 
<< Mauro sarò sincero con te, 
Riad non mi ha anticipato praticamente niente di questa storia, 
raccontami tutto dall’inizio e chi ti ha passato il contatto di Riad? >> 

Mauro non sembra entusiasmato a dover raccontare per l’ennesima volta i fatti. 
Ordino una bottiglia d’acqua e due bicchieri, beviamo, 
involontariamente poggiamo contemporaneamente i bicchieri sul tavolino, 
il rumore sembra sovrastare per un istante  il traffico dell’Avenida, 
mi lascio scappare un sorriso sulla faccia per farlo sentire a suo agio, 
lo incalzo con un cenno ad iniziare il suo racconto << Arranca >> 
il tempo è prezioso più che mai stasera. 

<< Dunque, devi sapere che lavoro per una ONG Italiana, 
da otto anni abbiamo un progetto per aiutare le circa settecento famiglie 
che vivono nel bairro di Hulene, proprio nella lixeira, nella discarica di Maputo. 
Sono persone che vivono una realtà completamente diversa 
da quella che noi conosciamo qua in città, 
vivono e si nutrono dei rifiuti di questa società. >>  
Non sono minimamente impressionato. 
<< Conosco la lixeira de Hulene, non ci sono mai entrato 
ma ne ho sentite molte di storie. >> In realtà cinque anni fa 
ci sono stato di notte con altri due colleghi per lasciarci un sacco 
con il corpo di un giovane fatto a pezzi. 
Lopes non ci raccontò la storia di quell’uomo tagliato a fette, 
disse solo che aveva dato molto fastidio a qualcuno di importante 
e ci pagarono molto bene per il servizio. 
Per due mesi abusammo con qualsiasi cosa potessimo comprare: 
sesso, droghe, alcool, vestiti di classe, cene nei migliori club del Bairro Central... 
<< Beh, abbiamo aperto un centro di formazione per dare un futuro alternativo 
ai giovani del bairro, dando corsi di grafica, fotografia, 
insegnamo a fare riprese video, edizione digitale... >> 
Arriviamo al dunque amigo.  
<< Ok, ma dove entra uno come Riad in tutto questo? >> 

Mauro non gradisce l’interruzione ma ne approfitta per un sorso d’acqua. 

<< Ogni anno vengo qui a Maputo per portare avanti il progetto, 
abbiamo un capitale economico e umano molto limitato, 
anche se non è sicuramente il tuo mestiere puoi immaginare che 
non è facile arrangiare fondi per continuare. 
È solo per questo sto qui seduto con te, 
perchè ho capito che per quanto possa essere pericoloso, 
il ritrovamento di questi documenti è stato provvidenziale. 
Riad mi ha offerto ventimila dollari per avere il relatorio originale. 
Io non sto qui a negoziare, mi va più che bene;  
voglio solo liberarmi di questo scomodo relatorio che, a quanto pare, 
non dormiva sogni tranquilli neanche sepolto e dimenticato tra i rifiuti della lixeira. >> 

Fa una pausa, parla lentamente, si sente a suo agio, 
mantiene la stessa posizione sulla sedia, beve un altro sorso d’acqua. 

Per un attimo il rumore del traffico occupa la mia mente 
cancellando tutti i pensieri. 

<< L’hai trovato tu il tesoro nascosto? >> Abbozza un sorriso. 
<< No, è stato Joaquim, un bimbo di dodici anni che vive nella discarica. 
Una mattina ha visto un gruppo di uomini alla ricerca di qualcosa, 
era un orario insolito e non riconobbe nessuno tra quei curiosi visitatori 
che a stento riuscivano a stare in piedi tra i cumoli di spazzatura 
e a sopportare il tanfo nauseabondo della decomposizione. 
Molti vomitavano, stavano nervosi, c’era uno che dava ordini al gruppo 
e li spronava a fare presto. Joaquim rimase nascosto per molto tempo, 
fermo immobile. 
Aveva paura che lo scoprissero a spiarli ma era curioso di capire, 
non aveva mai visto così tanti estranei in una sola occasione 
e tutti intenti a cercare qualcosa tra i rifiuti. 
Erano in 23, per questo Joaquim rimase colpito e corse a raccontarmi tutto. 
Anche io rimasi colpito e un pò preoccupato. 
Tornammo insieme sul luogo delle ricerche. 
Il gruppo se n’era già andato via. 
Joaquim li aveva sentiti parlare a proposito di un relatorio 
o di documenti molto speciali che stavano in uno zaino blu. 
Anche Joaquim aveva capito che quel ritrovamento poteva essere importante, 
non aveva mai visto una scena così 
in mezzo a quella desolazione di scarti e afrori. 
23 uomini sono più che una semplice squadra di ricerca, capisci? >> 
<< Claro, è curioso sì, non stiamo parlando di due o tre ma di ventitrè scagnozzi 
dediti alla caccia al tesoro in una discarica già dalle prime ore del mattino. 
E poi? Cos’è successo? >> Attimo di silenzio. 

<< È successo che Joaquim ha trovato quello zainetto blu. 
Stava mezzo bruciato. Non sapendo ancora leggere, venne da me, 
me lo mostrò chiedendomi perchè tutti quegli uomini lo volessero. 
Purtroppo o per fortuna il mio portoghese è pessimo, 
così ho chiesto aiuto ad un amico che vive qui a Maputo 
e parla bene portoghese... >> Quindi un altro straniero, 
la cosa inizia a farsi interessante, 
Riad che paga personalmente per avere dei documenti non l’avevo mai sentito prima 
ma questo Mauro crede davvero di stare in un gioco, solo che i giochi hanno regole, 
invece gente come Riad non ne ha. 

<< ...Una sera a cena gli racconto la storia di Joaquim, 
il mio amico si offre di aiutarmi e così, leggendolo, 
scopriamo che il relatorio è sopra l’attività di una spia di origine Mozambicana 
che approfittando di una copertura, gestisce un traffico di informazioni 
tra Europa, Africa e Asia. 
Un venditore ambulante d’informazioni sensibili. >> 

Cerco di trattenere il mio stupore, di colpo capisco che sono davvero nella merda, 
non esiste più un posto sicuro, specialmente in una cazzo di città africana. 
Adesso capisco perchè Lopes non mi ha ancora cercato, sono già morto, 
lo siamo tutti se qualcuno sta seriamente cercando queste informazioni, 
lo stesso Lopes non conta niente. Spie, informazioni, questo gioco è pesado 
e solo per giocatori forti che puntano alto, la cartelletta rossa con le fotocopie 
non è un tesoro ma una maledizione che doveva restare sepolta.  
Non ho più bisogno di nessuna spiegazione, posso solo fuggire. 
Mauro mi guarda curioso, non capisce il mio silenzio 
ed il mio sguardo fisso sulla cartelletta aperta, inizia a preoccuparsi 
e continua a raccontarmi di quella serata con il suo amico. 
<< Luciano, l’amico mio, s’è messo paura a leggere le carte, 
ha detto che il relatorio era un documento ufficiale, non doveva stare qui, 
non sarebbe mai dovuto uscire da quella montagna di rifiuti, 
era meglio che fosse rimasto là dimenticato dal mondo. 
Mi ha parlato di un curioso sistema che questo produttore adotta, 
le informazioni sono registrate come testi di musica rap, questo Aziz, Azuz, 
come si chiama? Ayaz, 
il tipo ha uno studio di registrazione e un service ma è un copertura. >> 

Guardo fisso Mauro ma in realtà sono immerso nei miei pensieri 
concentrato sulla soluzione migliore per uscirne vivo e rapidamente. 
<< Luciano mi ha detto che era meglio liberarsene, che non voleva saperne niente, 
che è roba pericolosa. Della Polizia non ci si può fidare, 
per questo mi ha dato il contatto di Riad e mi ha spiegato che questa 
era l’unica persona che poteva aiutarmi. 
Luciano tirò una foto della prima pagina del relatorio per mostrarla a Riad, 
mi ci mise in contatto e parlando con Riad, senza troppi convenevoli, 
mi fece questa proposta, ventimila dollari per avere il relatorio. Ed eccoci qua. >> 

Già, eccoci qua, due coglioni nella stessa barca e in un mare di guai. 
<< Luciano è un amico tuo? È italiano anche lui? >> 
<< Sì. >> Mi mostra una foto con Luciano, belli sorridenti in una spiaggia. 
Luciano è più giovane, sulla trentina, fisico atletico, 
non mi sembra di averlo mai visto prima, sembra un mediterraneo qualsiasi. 
<< E come lo conosce Riad? >> 
<< Beh, non lo so. Luciano vive qua da dieci anni come minimo, 
conosce molta gente, è un tipo esperto, sa sempre come muoversi. >> 
<< Cosa fa nella vita questo tuo amico? >> 
<< Mah, si occupa di questioni logistiche e di contatti per grandi imprese straniere, 
principalmente italiane, che fanno affari con il Governo Mozambicano 
o grossi investimenti in corso, ma non mi ha mai parlato bene del suo lavoro. 
È un buon amico che conosce bene il Mozambico e l’Africa australe in generale; 
conosce i posti, ha molta esperienza su tutto. >> 
<< Avete più parlato di questa faccenda? >> 
<< No, mi ha detto che non voleva saperne niente e di non chiamarlo più 
fino a quando questa faccenda non era risolta. >> Annuisco in silenzio, 
l’amico Luciano aveva già capito che non era un ritrovamento fortuito 
ma solo un vaso di Pandora, ma perchè mandare Mauro da Riad? 
Perchè appoggiare l’idea che Mauro potesse guadagnarci qualcosa 
se aveva capito quanto fossero potenzialmente pericolose le informazioni del relatorio? 
Per i soldi? Sto perdendo tempo. Chiedo il conto, 
chiedo a Mauro il numero di Luciano, 
devo capire bene la relazione tra l’italiano e Riad. 
Mentre Mauro mi detta il numero di Luciano, 
il telefono mi suggerisce un contatto uguale già salvato, 
è il secondo numero sconociuto che avevo registrato. 
Controllo anche nel telefono di Riad, coincide. 
Non dico niente, chiedo solo a Mauro di lasciarmi la copia del relatorio, 
l’arrotolo e la infilo dentro alla giacca, restituisco la cartelletta. 
<< Ti chiamo io tra un’ora o due al massimo. >> 
Mauro non è più a suo agio, capisce che qualcosa sta andando storto 
ma non mi preoccupo minimamente, non lo rivedrò mai più. 
Devo arrangiare soldi e andarmene. 

Riad aveva offerto ventimila dollari a questo italiano, 
quindi come minimo il relatorio ne vale il doppio. 
Per venderlo a chi? 
E perchè a Lopes aveva chiesto solo ventinovemila dollari se ventimila erano per Mauro? 
Novemila dollari come commissione? Solo? 
Ridicolo. Riad era un topo di fogna ma pieno di soldi 
e di conti correnti sparsi nei vari continenti, 
ecco perchè poteva permettersi dei mercenari come bodyguards. 
Non posso fermarmi a pensare, entro nella jeep e parto subito, adesso è solo guidare. 

Parcheggio sotto al centro commerciale Tiger, parcheggio tra altre macchine 
e faccio la telefonata a Luciano, spento. 
Chiamo Ayaz << Dobbiamo parlare, ti trovo nello studio? >> 
<< Chi sei? >> 
<< Felix, amico di Riad e Riad sta nella merda per colpa tua, 
ho bisogno di parlarti, devi aiutarmi, per Riad cazzo, non per me. >> 
Silenzio. 
<< Sto allo studio, lo conosci? >> 
Mi sento brillante come un attore dei film di Hollywood, 
recito tremendamente bene, rincaro la dose 
<< No, Riad mi ha solo detto di chiamarti e di combinare l’incontro. >> 
<< Dove sta Riad? >> 
<< Al sicuro e non esce da lì neanche per una promozione di KFC >> 
Mi gioco questo jolly che dimostra quanto conosco Riad. 
<< Qual é a ideia my nigga? >> 
<< Vengo lì, parliamo, mi spieghi cosa cazzo fare, 
torno da Riad e troviamo un modo per uscirne vivi tutti e in fretta. >> 
<< Ok, mantieni la calma Felix, ce la fai? Conosci Mimmos 2? >> 
Mi spiega come trovare lo studio e rimango stupito 
da quante volte ci sono passato davanti in tutti questi anni. 
Non ho la più pallida idea di cosa potrebbe succedere 
ma devo affrontarlo, capire il più possibile 
e trovare davvero una soluzione per uscirne vivo. 
Solo con il culo al sicuro a Johannesburg posso tentare vendere queste info, 
adesso devo solo riuscire a stare vivo e a organizzarmi un piano di fuga. 
Devo chiamare gli amici a Mafalala e devo avvisare Johana. 
Puttana merda ho solo un’ora. 
Mi verranno a cercare a Mafalala, devo organizzare os brothers
qualcuno deve prepararmi le borse già adesso, devo basare rapido. 
<< Hey Joe! >> inizio una serie di chiamate per attivare qualcuno nella mia zona. 
Piazzare almeno la jeep e le armi. 
Divano, tavolo, letto, tv, dvd, cd e tutta quella merda posso venderla dopo 
o affittare tutto, fanculo vendo tutto. 
Non voglio cazzi con gente che poi mi viene a cercare fino in Indocina. 

Parcheggio a un isolato di distanza dallo studio. 
M’incammino. Suona il mio telefono, è Mauro. << Non ora. Ti richiamo io. >> 
Forse è meglio se lo spengo. 
Lopes non mi ha ancora cercato e non ha neanche comunicato con Riad, 
in effetti è strano oppure è davvero la mia notte e ho avuto fortuna, 
me ne esco senza troppi convenevoli, me ne vado a sud, 
cerco di piazzare sta merda di un relatorio e mi faccio una nuova vita. 
Torno solo tra qualche anno quando sarà tutta acqua passata 
e faccio il king nel quartiere. Mary Rose sbarellerà per me, 
torno con un gran carro tutto nuovo e mi scopo tutte le babies nel bairro. 
Fanculo Lopes e tutti questi stronzi e i loro strippi internazionali, 
io mi faccio i cazzi miei e me  la campo per altri cent’anni. 
Conosco abbastanza schemi da fare un paio di operazioni giuste 
con due o tre sbirri corrotti e ci dividiamo molto di più di una torta. 
Mi compro mezza Ka Tembe e vivo di rendita. 
Il telefono di Riad inizia a suonare, 
mi maledico per essermi dimenticato di togliere questo orrore di suoneria 
a squarciare il silenzio della notte. È il primo numero sconosciuto, ignoro. 

Entro nella via dello studio, sono a circa duecento metri, 
cammino rapido lungo le ombre degli alberi, 
attraverso l’ultimo incrocio prima dello studio, silenzio e solitudine, 
passo dritto davanti allo studio facendo finta di niente, 
non mi arrischio neanche a guardarmi intorno, tiro dritto. 

50 metri più avanti da un’auto nera parcheggiata 
una mano bianca lancia una sigaretta accesa dal finestrino, 
un gesto stizzito che tradisce l’irrequietezza di qualcuno e stimola la mia curiosità. 

Passo accanto all’auto senza cambiare passo, osservo prima la capotta lucida 
poi lascio scivolare lo sguardo rapido 
e rimango un istante disturbato dagli occhi torvi del tizio magro e smunto 
che mi osserva fisso, occhi grandi e scuri incavati in una faccia 
consumata dalle sigarette più che dagli anni, 
sembra un avvoltoio che mi guarda disgustato, 
incomodato forse dal fatto che sono ancora vivo. 
Al suo fianco un tizio enorme che mi osserva 
come un cane rabbioso desideroso di rincorrermi e mordermi 
fino a strapparmi i polpacci dalle gambe, i loro sguardi sono così minacciosi 
che riescono a darmi una leggera stretta allo stomaco. 
Scommetto che sono loro, sono i due che hanno ammazzato Riad, 
ci scommetto il mondo. 
Tiro dritto ed entro nel primo cortile a sinistra, 
appena dietro l’angolo mi appoggio al muro, riprendo a respirare, 
rivedo la faccia di Riad, posso vendicarlo, maledetti bastardi, 
chissà come sarebbero andate le cose se non fossi stato assente 
quando sono venuti a visitare Riad, non lo so ma sono ancora qui 
e posso fotterli, possono solo essere quei due a quest’ora 
e parcheggiati proprio lungo questa strada. 
Colpo in canna, aspetto un istante. 

Si sta avvicinando qualcuno, l’avvoltoio è il primo a girare l’angolo, 
troppo di fretta, approfitto che sta in corsa ed è sbilanciato in avanti, 
stringo la pistola nella sinistra, con la destra lo afferro saldamente al polso 
e lo strattono in avanti, sgambetto con la gamba destra, 
lo sento volare verso il pavimento, 
mi giro di scatto in tempo per vedere il gigante caricare, non esito un istante, 
punto all’inguine e premo il grilletto due volte, il gigante inizia a gridare dal dolore 
ancora prima che sia passato il botto della seconda esplosione. 
L’avvoltoio rotola confuso sul pavimento tutto agitato e terrorizzato, 
ha ancora odio negli occhi ma sentire il suo amico gorilla gridare dal dolore 
lo lascia disarmato e, a differenza di un vero avvoltoio, 
questo stronzo non sa volare. 

Nel dubbio gli sparo in gola, lo prendo in pieno e così di sorpresa 
che non riesce neanche a mutare d’espressione, gli rimane quello sguardo torvo, 
solo più inacidito dall’odio, il sangue gli esce a fiotti e quel buco nero scuro 
sembra per un istante un terzo occhio che sanguina. 
La bocca è un orrendo posacenere incorniciato con denti storti e ingialliti, 
si ammoscia come un palloncino bucato sul marciapiede 
mentre la ferita alla gola emette un sibilo. 
Il gorilla castrato è rimasto in ginocchio, la testa poggiata a terra, 
le mani a coprire la ferita e intanto emette continui suoni di sofferenza 
più simili ad una iena che ad un gorilla. 
Passando gli mollo un calcio in testa 
come se fossi Ronaldo a battere il rigore decisivo ai tempi supplementari. 
Gli sputo in faccia << Pezzo di merda, questo è per Riad. >> 

Ayaz ha sicuramente sentito gli spari, 
lo chiamo per essere sicuro che ci sia ancora 
e che non stia già scappando da chissà quale uscita secondaria. 
Non si è ancora affacciato nessuno a guardare, 
ci vorrà un’ora prima che arrivi la Polizia, forse. 
Ayaz mi apre subito la porta, stava lì dientro in attesa, 
è diverso da come me lo immaginavo, sembra più un indiano, baffoni folti 
e un cespuglio scomposto in testa al posto dei capelli. 
Osservo se ha in mano qualcosa, la mia pistola è ancora calda 
e sono ancora in adrenalina, nada
Ci scambiamo uno sguardo interrogativo, non dice niente, richiude la porta 
e ci incamminiamo lungo un corridoio scuro, entriamo in un salotto d’attesa, 
le pareti in legno chiaro sono piene di foto di Ayaz con personaggi importanti, 
musicisti e belle donne. << Bevi qualcosa Felix? >> 
Nonostante la situazione non perde il controllo e le buone maniere, ottimo.
 << Sì, ne ho bisogno. Um duplo. >> 
Mi sento a mio agio solo all’idea di sorseggiarmi un buon duplo 
mentre Mr. Bombay qui mi spiega un pò di cose. 
L’impressione iniziale è tutto 
e dopo aver appena ucciso quei due figli di puttana là fuori 
mi sento perfettamente capace di gestire anche la chiaccierata 
con questo 007 indiano 
che gioca a fare il grande produttore con gli artisti più conosciuti in Africa. 

Quando torna con il bicchiere gli mostro la pistola, si blocca preoccupato. 
<< Non voglio farti niente di male ma voglio essere chiaro: non ho tempo da perdere. 
Spiegami cosa c’è che non va nella tua vita da rock star e che minaccia la vita di Riad. >> 
Mi fissa stupito ma lo vedo concentrarsi, sta entrando nella parte, 
mi poggia il duplo sul tavolino, 
accompagno ogni suo movimento con la canna della pistola, 
mi si accomoda lentamente di fronte. 
Sciacquo il sapore metallico che avevo in bocca. 
<< Cos’è successo a Riad? Perchè non mi ha più chiamato? >> Mi chiede. 
Con la destra lo tengo sotto tiro, con la sinistra mi slaccio la giacca, 
estraggo il relatorio e glielo passo. Lo guardo storto e sbotto in un: 
<< Ti ho fatto io per primo una domanda, 
io e la Signorina Beretta qua presente, rispondi. 
Cazzo c’hai che non va nella vita Ayaz? Se Ayaz è il tuo vero nome. 
Cos’hai di così tanto segreto nella tua cazzosissima vita 
da arrivare a mettere in pericolo Riad? >> 
Mi guarda fisso come se le colpe della sua vita fossero tutte causate da me. 
Per un istante penso a premere il grilletto, lo ammazzo, 
lo faccio sparire così che qualcuno continuerà a cercarlo 
e vendere il relatorio finale con tutte le informazioni raccolte sarà un buon negozio. 
Ayaz si decide a parlare. 
<< Sono 5 anni che lavoro in questo studio, 
sono già passati tutti i migliori musicisti della vecchia guardia, 
até i padri della marrabenta hanno registrato qualche canzone qui da me. 
E vendo informazioni. >> Fa una pausa. 
<< Scrivo testi che contengono riferimenti e indicazioni a fatti reali, 
li faccio cantare a giovani artisti emergenti 
che non sono ancora inseriti nel mercato, 
li pago quanto basta 
anche per farli stare zitti quando escono dalla sala di registrazione 
e quando viaggio levo tudo comigo in un’unità esterna e in una flash. 
Chi si aspetterebbe che le informazioni sono cantate su pezzi rap? >> 
Gli scappa un sorriso di soddisfazione. 
Anche a me sembra un’idea originale 
che fino ad oggi stava nelle mani del, 
come si chiama? Lapsus. 
Ayaz continua << Riad era interessato ad alcune informazioni 
per poter ricattare una persona che lo stava ostacolando nel realizzare progetti dele
Lasciami prendere il pc. >> Si alza senza lasciarmi il tempo di replicare. 

Inizio a sentire fame. 
Noto che l’orologio dello studio segna 5 ore più avanti, 
sarà con un fuso dell’India? 
Segna le 04:29  
manca un minuto alle quattro e mezza 
e qui manca mezz’ora alla mezza. 

Ayat torna con un portatile e un paio di cuffie professionali, 
mentre si riaccomoda e appoggia il portatile sulle gambe 
per aprire bene lo schermo e collegare le cuffie, continua: 
<< Riad a volte aveva bisogno di mie conferme su certi fatti per certi lavori, 
consulenze. >> 
M'infastidisce come cerca di dare un tono alla sua professione, 
sto spione del cazzo. 
<< E recementemente era interessato ad un file specifico, 
mi meravigliò che conoscesse già il numero corretto della musica. Delta Niger. >> 
<< Delta Niger? >> 
<< Si, è un posto, la foce del fiume Niger, in Nigeria. 
Riad diceva che poteva essere l’evento per risvegliare il popolo Mozambicano. 
Mostrare quello che era successo nella west coast 
a causa delle multinazionali straniere 
che adesso sono arrivate a saccheggiare anche noi qui in Moz. >> 
Penso ai recenti articoli di giornali, rivedo Riad, intero e spaccato, 
la faccia dell’avvoltoio, il terzo occhio a sanguinare, 
Mauro a casa in attesa di una telefonata sognando qualche dollaro in più 
per avanzare con il suo progetto disperato per tirare dei poveracci dalla spazzatura 
mentre tutto il Moz rischia di affondare nella propria merda. 
Curioso, un italiano a lottare contro il consumismo e l’immobilismo delle istituzioni 
mentre il popolo soffre e intanto proprio una grande multinazionale italiana 
se ne sta qui a succhiare tutto il gas disponibile insieme ai gringos. 
Mi ricorda quel giovanotto della favola contro il gigante che spaventava tutti 
ed era imbattibile con la spada, Davide e Golia. O era nella Bibbia? 
O in una produzione di Ayaz. 
Per far uscire e circolare informazioni criptate 
questo s’è inventato di passar le notizie tra le rime, cantate e registrate. 
Lo guardo fisso e faccio un cenno verso il relatorio sul tavolino, 
la pistola sempre puntata. 
<< Cosa farai? Te ne andrai? Hai un piano per fare uscire anche Riad? >> 
Ayaz rimane titubante per un istante. 
<< No, nessun piano. Parto tra due giorni per Goa. 
Rimarrò là fino a quando qui non si saranno calmate le acque. >> 
Goa, beh è molto più distante e sicura di Johannesburg. 
Rimango a pensare un istante senza ascoltarlo. 
Noto che l'orologio è ancora fisso alle 04:29 
com'è possibile? Dev'essere rotto. 
Me ne devo andare. 
<< Buona fortuna Ayaz. >> 
<< Riad non vuole il file? >> 
<< Certo, passamelo sulla flash. >> Gliela passo.  
L'afferra e la infila in una porta usb a colpo sicuro, 
intanto mi chiede cosa sia successo di tanto grave. 
<< Questo relatorio, qualcuno lo sta cercando. 
Riad rischia la vita per non dover parlare di te. 
Qualcuno ti cerca Ayaz. >> Ayaz sorride. 
<< Bro, tutti mi cercano, sempre. >> 

Mi restituisce la flash e si alza per riportare portatile e cuffie nello studio. 
Osservo la mia flash prima di rimetterla in tasca e gli domando 
come si chiama il file che ha appena caricato. 
Mi risponde dopo un istante. << 429 >> 

Torno di corsa nella mia casa nel bairro. 
Parcheggio solo 50 metri prima, sono in ritardo sulla tabella di marcia. 
Il bairro è avvolto nel silenzio. 
Non richiudo la porta con il catenaccio per non fare troppo rumore 
e per non perdere tempo, ci penserà qualcun altro a chiudere. 
Manca l’elettricità, mi faccio luce con il telefono. 
Entro in camera, nessuno ha ancora preparato niente “shit!” 
questi brada sono capaci solo a matrecar
si fottano loro e questa vita di merda, 
sento un’euforia dentro all’idea che posso andarmene 
e costruirmi una nuova opportunità. 
Appoggio il telefono in un punto utile per avere un pò di luce, 
apro l’armadio e inizio a lanciare cose sul letto, urge una selezione, 
solo cose poche appariscenti. 
Inizia a fare caldo, tolgo la giacca e la lancio a sua volta sul letto. 
Metto la pistola e il fodero sul cuscino. 
Devo prendere il fucile dal sotto tetto, prendere i trenta mila che ho nella cassa  
e fare ancora alcune chiamate. Scarpe, mutande, magliette, documenti, asciugamano... 
L’asciugamano è rimasto fuori sul terrazzo. 
Mentre attraverso casa rapido da un punto all’altro 
ripenso a tutto quello che è successo, 
giornata pazzesca! Per non parlare di quei 45 minuti. 
Controllo in cucina se è avanzato qualcosa, 
tutto questo stress mi ha lasciato spossato e affamato. 
Sento un rumore, sembra che sia caduto qualcosa, arrivo in corridoio, 
sento una corrente, la porta della mia stanza è socchiusa, torno nella mia stanza, 
entro di colpo, in mezzo alla stanza c’è un bianco, alto, 
lo riconosco subito anche se non sorride allegro come nella foto, 
è Luciano e sta qui in piedi con una faccia incazzata 
e mi punta contro la mia pistola. 










I pizzini di WikiLeaks





A “Short POSTory”
Tipologia: un breve racconto di Simone Faresin. 
Fonte: un post, una veggente cieca, un amico che vive a Londra 
e un recente fatto di cronaca.


2º Racconto della Serie: “Starnuti. Racconti brevi” 



Che storia. 
Apro facebook dopo meno di cinque ore di sonno e trovo 99 notifiche. 
La connessione è pessima 
e stenta a caricare anche solo la finestrella delle opzioni; 
sto già nervoso e non ho ancora bevuto il caffè, 
nell’attesa mi distraggo controllando i post-it disseminati sulla mia scrivania 
e gli appunti in agenda, poi finalmente incomincio a ricevere dispacci. 

Riferimenti a Gianluca ovunque. 
Anche tizia ha commentato il post di Ganluca, 
anche tizio e anche quello e quell’altra e tutti quanti quelli hanno commentato cosa? 
Vado alla pagina di Gianluca e rimango di sasso: una sua risposta alla domanda 

“a cosa stai pensando?” 

ha ricevuto tredicimila like. Tredicimilasettecentocinquantaquattro like. 
5, voglio essere il cinquantacinque, clicco Mi Piace. 

Vado a leggere il post ma prima mi soffermo ancora a guardare incredulo 
il numero di like e i settecentoquarantadue commenti, i sessantasette :O 
e due cuori. Ma neanche con tutta la vecchia cricca della joint maison insieme 
ci arriviamo a tredicimila contatti, come diavolo ha fatto? 
Cos’ha scritto di così speciale? 
Continua a leggere clicco, apro tutto, voglio leggermelo per bene, 
ma é in inglese! Seleziono tutto e faccio copy-paste in google translator. 

Il post recita così: “È il giorno più incredibile della mia vita. 
Più incredibile di quando ho perso la verginità, 
più incredibile del triplete dell’inter nel 2010, 
più incredibile di quello che puoi comprare con 10 dollari in Messico. 
Raga, incredibile! 
Da quando Julian Assange (per me è un mito) 
è ospitato nell’ambasciata Ecuadoregna a Londra nella Hans Cres 
ci passo sempre per andare a lavoro al Twiga. 
Mi piace quando riesco a vederlo affacciato per un istante a tranquillizzare i fans, 
gli grido sempre “HOLD ON!” con il pugno alzato. 
Nel periodo delle elezioni negli States gli avevano tolto internet 
per non fargli fare ulteriori danni, 
già la storia delle migliaia di email della Clinton pubblicate su WikiLeaks 
aveva agitato abbastanza il clima elettorale, 
ma non mi sarei mai aspettato che si arrivasse ai pizzini! 
Come i mafiosi latitanti, un brigante cybernauta in asilo politico 
dentro ad una ambasciata di mattoni che mi ricorda i palazzoni. 

Beh, mentre sto superando l’amba vedo uscire dal palazzo un tizio 
con un piumino giallo e un cappellino rosso calcato in testa, 
non poteva dare meno nell’occhio. 
S’incammina rapido verso l’incrocio con la Pavilion Road, 
io sto dall’altro lato ma andiamo quasi alla stessa velocità. 
Non so perchè mi abbia incuriosito così tanto a parte che sembrava il pulcino pio, 
non credo nel destino ma forse doveva proprio capitare a me. 
Continuo ad osservarlo curioso mentre vado per la mia nella stessa direzione, 
ad una certa dall’angolo svoltano due tizi vestiti di scuro, 
uno ha una radio in mano, 
lo puntano e vanno con decisione verso di lui. 

Senza dare molto a vedere mi giro per vedere cosa fa il tizio 
e lo vedo attraversare rapido la strada verso il mio lato, 
faccio subito finta di niente. 

Il tizio mi supera quasi correndo e svolta a sinistra 
ma solo dopo aver lasciato cadere qualcosa, 
sembrerebbe un pezzo di carta appallottolato. 
I due tizi vestiti di scuro gli corrono dietro. 
Mi sale l’adrenalina, penso si tratti di droga avvolta nella carta 
e che quei due di scuro erano sicuramente sbirri. 

Mi abbasso facendo finta di arrangiare le stringhe della scarpa  
e afferro la pallotta di carta. 
È ben consistente, la tengo stretta in pugno in caso qualcuno mi fermi 
per poterla buttare subito. Sbircio se gli sbirri stanno ancora correndo dietro al tizio 
ma hanno già svoltato al Searcys. Tiro dritto fino al Twiga. 

Quando arrivo nel backstage allestito per i dipendenti nel magazzino 
ho finalmente il coraggio di vedere cosa sto tenendo in mano. 
Apro il pugno lentamente, sono solo tre fogli scritti accartocciati insieme. 
Distendo bene i tre fogli e noto la firma alla fine, Julian

Non mi sembra vero un’altra volta, ma questa è più grossa, 
non può essere una coincidenza. 
Penso che è roba che scotta, qualcuno potrebbe avermi visto 
o potrei essere stato filmato, 
quind posto tutto pubblicamente prima di bruciare queste carte

Ho fatto una foto per ogni pagina, 
al massimo le mando per e-mail a WikiLeaks. 

Incredibile, ho tra le mani la bozza della prossima pubblicazione 
del più famoso sito al mondo che lotta contro tutto il sistema corrotto 
di questa cazzo di società malata. 

C’è scritto: 

Pubblicare urgente aggiornamenti sui files Yemen 
e sulla manovra di censura contro Al Jazeera.  

Confermo le notizie sul gruppo di ricerca russo. 
Confermo che dagli anni ’60 esisteva un team di quattro persone 
che lavorava sulle dichiarazioni della veggente bulgara. 
È confermato che le informazioni raccolte da questo team 
fanno parte del relatorio che ha preceduto la decisione del Cremlino 
di creare l’operazione di hackeraggio per favorire l’elezione di Trump. 
Ci sono molti dettagli da verificare ma, per quanto assurdo, 
è confermato che l’operazione è stata fatta sulla base 
di una previsione degli anni '70 della defunta veggente: 
se fosse stata eletta la Clinton, 
23 ore prima del passaggio di consegne con il Presidente Obama, 
sarebbe stato autorizzato un attacco di vasta scala contro la Russia 
per una presunta invasione in Ucraina e bombardamenti in Siria e in Iran. 
La Clinton sarebbe poi stata avvelenata confermando la previsione che Obama 
sarebbe stato l’ultimo Presidente americano. 

Nonostante i russi abbiano mutato gli eventi della storia, 
da Gennaio stanno lavorando per contrastare un’organizzazione 
non identificata che sta cercando di far cadere Trump 
e mettere al comando il suo Vice Mike Pence, 
che aiuterebbe i guerrafondisti repubblicani a scatenare la guerra totale 
che doveva iniziare già con la vincita della Clinton.  

Interessante ma ancora da verificare, varie agenzie d’intelligence di vari paesi 
stanno in una confusione totale. 
Il team russo e tutto il gruppo di ricerca è stato chiuso, 
tutte le informazioni su veggenti e profezie sono state classificate come spazzatura; 
sono stati richiamati a Mosca tutti i più grandi esperti in Fisica 
coinvolti in progetti internazionali. 
Devo ancora ricevere conferme più accurate 
ma si sta usando il termine “improvvisa variazione di percorso” 
ma non è ancora chiaro riferito a cosa. 
Sembra che questa operazione di hackeraggio abbia modificato qualcosa 
di così grande nei piani di un’organizzazione occulta 
che manovra come burattini i Generali in comando al Pentagono, 
al punto da poter essere definita un’imprevista variazione al destino dell’umanità 
per come l’avevano prevista loro, quelli lá. 

Sto aspettando ansiosamente altri dettagli 
ma forse ci troviamo davanti ad un fatto così grande 
che avremo bisogno di rivedere completamente la nostra posizione in merito. 

Sembra abbiano tirato la corda sbagliata nel backstage 
e sta cadendo tutto lo scenario 
che tiene in piedi l’opera orchestrata dalle multinazionali 
e dai vari gruppi d’investitori 
legati al progetto per legalizzare le ‘MC’ Mega-Corporazioni. 
Le tensioni con la Corea del Nord sono un pretesto
per creare uno scontro con Cina e Russia, prima che la Cina
possa affermarsi come potenza mondiale nel 2018. 
Potrebbe essere un passo epocale 
ma c’è il rischio che possa scoppiare una guerra civile negli States. 
Non comunicate niente di questo via email 
e neanche verbalmente tra di voi in ambienti chiusi 
o in presenza di telefoni ed elettrodomestici. 

Sento un misto di paura ed eccitazione, potrebbe essere la storia del secolo. 
Mi mancate, un abbraccio forte a tutta la squadra. Julian.” 

Non so che dire, Gianluca non ha mai avuto fantasia in vita sua 
se non per creare graffiti, questa storia non può essere farina del suo sacco. 
Vado a leggermi tutti i commenti 
ma ne approfitto prima per postare il link del mio blog, 
tredicimila e passa persone vedranno la notifica 
e magari ci cliccheranno curiosi cercando altre storie. 

www.kanimabo.blogspot.com 

Gianlu non si offenderà certo, d’altronde 
se non ci si aiuta virtualmente tra amici...




Fine. 















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