Capitolo 4.
"Le conseguenze dell'Amore per la Cultura" - seconda e ultima parte -
4e20 in
Piazza Cordusio. Milano.
Le
conseguenze dell’amore per la Cultura.
Inhambane. La
torre dei 4 orologi.
Cap. 4 “4e20
in Piazza Cordusio”.
Sono 16 anni
che sto tentando di finire il mio primo libro.
518 anni
dopo Vasco da Gama arrivo a Inhambane
e una misteriosa torre con i suoi 4
orologi fermi
a indicare quattro ore differenti ai quattro venti,
mi aiuta a
ritrovare la strada, una nuova rotta
per arrivare in un porto sicuro e
concludere una grande traversata
tra il dire e il fare.
“L’uomo
tagliato a fette e altri 7 racconti di Simone Faresin”
con la parte
“e altri 7 racconti di Simone Faresin” scritta più piccola
sotto al titolone “L’uomo tagliato a fette”
che è
un riferimento a Henry Miller - Tropico del Cancro.
Inhambane è
appena sotto al Tropico del Capricorno.
“Tropico del
Capricorno” è sempre di Henry Miller.
Quel malato
di troppa vita, sregolato e senza filtro,
m’ha stregato con la sua maniera di
scrivere.
Specialmente pensando all’epoca in cui lui è apparso a fare lo
sboccato.
Per noi è
facile,
siamo nell’epoca in cui anche i politici sono sboccati e pippati,
quindi è tutto più genuino e “na onda” o peggio ancora in onda.
In bolla.
Nonostante
il programma sia sbagliato
il muro non è ancora crollato
e il Parlmento non lo
hanno ancora assaltato.
“Mi chiedo
come cada orologio della torre si sia bloccato.
Chissà che
giorno era, in quale momento, cosa l’avrà provocato...”
Le
innumerevoli storie della torre di Inhambane
VS
le 4 storie che questo Capitolo
4 può raccontare.
Round 1.
Ho
incontrato Miller in una libreria di Novara,
stavo facendo tempo prima di un
colloquio di lavoro
rivelatosi utile solo per avermi fatto fare un viaggio in
macchina
e una passeggiata in centro a Novara,
per aver bevuto un buon caffè
Kenyano in un bar
e per aver comprato i due Tropici di Henry.
Ho iniziato
ad appassionarmi ai suoi resoconti
mentre lo leggevo su un eurostar che correva
tra Napoli e Milano.
Era il 2004, 13 anni fa, quando presi la decisione che il
titolo
del mio primo libro doveva essere “L’uomo tagliato a fette”
e immaginavo
la copertina: un fumetto in stile Jacovitti
con due Carabinieri che aprono il baule
di un auto
e ci trovano un corpo fatto a fette, con la faccia del cadavere ingessata
in un drammatico ultimo sorriso.
Riferimento ad un articolo di giornale di
qualche anno prima:
un macabro ritrovamento fatto una mattina
nel quartiere
Gallaratese di Milano. Uno dei più malfamati e causa,
negli anni, di numerosi
malintesi presentandomi a dei milanesi
e dicendo che ero di Gallarate,
generando occhiate sospette
e facendo arretrare
di un passo le loro timorose fidanzate.
La fermata della Metro Rossa
nel
Quartiere Gallaratese si chiama Uruguay,
vedendola pensavo sempre
“Uruguay, ahi
ahi, qui sento puzza di guai.”
Io invece sono di Gallarate, la città 38 km più
a nord
di questa periferia milanese e in tutt’altra Provincia,
MI VA di
spiegarla questa differenza.
L’ Autostrada
dei Laghi unisce Milano (MI) a Varese (VA),
49 km in linea d’aria. Questo
spazio tra un capoluogo e l’altro
è una delle aree industriali più produttive
d’Italia.
La Regione Lombardia da sola ha un PiL
(Prodotto interno Lordo, in
portoghese PiB: Prodotto interno Bruto)
più alto di quello di altri paesi
europei.
Lavorando 5 anni per la FedEx ho scoperto un tessuto di aziende
altamente qualificate che producono per altre grandi imprese
ed esportano
davvero in ogni angolo del pianeta,
ecco perchè arrivavo io FedEx a ritirare o
a fare un delivery high quality,
con o senza nebbia.
La cosa più curiosa per chi non è della zona
è
che hanno avuto la tremenda fantasia di creare una città
alle porte di Milano
che si chiama Arese.
Ora, sul cartello stradale, il nome della città è sempre
scritto
bene in grande: ARESE.
Avete idea di quanti forestieri,
sapendo che
l’Autostrada unisce Milano e Varese,
sono usciti subito alla prima pensando che
mancava la V
o che si era persa? Sai, nel dubbio, esco e chiedo...
Se invece,
sbagliando, esci a Gallarate, contattami.
Ti consiglio io dei posti. La miglior
pasticceria, il miglior cappuccino,
il miglior belvedere, la miglior pizza,
caffè , amaretti, gelato, aperitivo,
passeggio e ok grazie, per oggi può
bastare. Cosa volevi fare?
Solo uno di Gallarate sa cosa si può inventare per
vivere il suo tempo.
Invece a Inhambane lo sappiamo tutti, o quasi,
cosa puoi
fare in Paradiso? Godertelo.
Round 2.
Beh, almeno
l’Autostrada dei Laghi è fatta bene,
bella scorrevole e paghi solo ai caselli.
In Moz la Polizia ti ferma almeno trenta volte in trenta punti differenti
e ho
visto spesso durante l’ispezione allungare la nota da 100
tra i documenti.
La
strada nazionale che unisce Maputo a Inhambane
è una tela d’artista incorniciata
tra filari di palme da cocco
a perdita d’occhio.
Verde e spazio, un oceano di
spazio a destra nel Canale del Mozambico
(spazio di Oceano Indiano tra il
Mozambico e il Madagascar)
e un continente africano a sinistra.
Finalmente
niente palazzi, solo capanne.
Finalmente ordine e calma,
la Natura è a 360º al
99% e l’umanità è quell’1% rappresentato
da una striscia di terra battuta che
ci serpeggia in mezzo,
con noi che ci corriamo sopra,
stretti come sardine in una
scatola con le ruote.
Finalmente.
Finalmente sto viaggiando un po’ per il Moz.
Maputo non è Mozambico, Maputo è una città, africana,
ma pur sempre una città.
Stronza,
sporca, incasinata, veloce, stressata, ingiusta,
puttana, alma grigio asfalto,
palazzi vuoti e gente senza casa,
muori per strada, nessuna redenzione ma forse
c’è la connessione.
“Amigo aqui é Capital, não se ferra nos games” Lívio
Barros.
Grazie a 500
km di distanza tutto quel trambusto polveroso
non è neanche un ricordo.
È un
metro di paragone entre la vita moderna ed il Paradiso,
così come fu concepito
e presentato. Inhambane Ceu.
Ti amo, sei il motivo di migliaia di pagine, anni,
viaggi, voli, sogni:
sei quello che cercavo.
Anche
Inhambane è chiamata città
ma sembra più un paesino di mare,
sembra si respiri
camomilla da quanto ci si sente subito rilassati
e in armonia col tutto.
E tutto così
vicino e a portata di mano che sembra una mia tasca.
Lo chapa
arriva nella piazzetta con i parcheggi a lisca di pesce,
tra bancarelle di
frutta, patatine e dolciumi vari.
Evitare di comprare cibo per strada
e
portarsi sempre l’acqua naturale in bottiglia.
Il mercato centrale è grande
quanto il cortile di casa mia
ma si compra buon pesce, tanti souvenir
interessanti,
borse bellissime di paglia intrecciata, sandali, cappelli,
cocco
bello dub style e anche un pacco di spaghetti “cucino io”.
Mi aspettavo di
dover camminare per ore ma arriviamo subito
alla casa dove siamo ospitati.
Praticamente c’è:
una strada principale, quattro vie che s’incrociano,
un
reticolo di vicoluzzi e vicoletti, un pontile verso il Paradiso,
spiagge,
isolette, barchette, scenari tropicali, mangrovie,
otto miliardi di palme al
vento, boa gente, belle gnocche,
la statua di Samora, un Governatore della
Provincia e ualà,
ecco Inhambane.
Un pontile verso il Paradiso.
(Hanno tolto la scala)
Non succede
un cazzo di niente a parte viversi la Vita
e respirare aria buona e camomilla,
perfetto.
Non ce la faccio più con l’adrenalina della città e quel suo ritmo,
anche se sono consapevole che probabilmente andrò in crisi d’astinenza
in un
mese, ma vale la pena rischiare.
Dopo soli 45
minuti sono già convinto:
io devo trovare un modo per vivere qui.
Vecchie case
coloniali portoghesi dai colori pastello, giardini,
giardinetti, una media di
tre o quattro persone per strada,
due macchine ogni tanto, temperatura
perfetta, baretti simpatici,
sculture afro occupano l’altrimenti deserto
marciapiede,
per strada una camionetta degli sbirri passa annoiatissima,
quasi crolla
di sonno mentre una buca lungo la strada la scrolla
agitandola un poco.
Ad avere
anche solo uno scooter sei un signore,
tutte le strade portano ad una spiaggia,
nessuno ti chiederà niente, se non per una moneta o se sai l’ora.
Sono qui per
passare l’ultimo dell’anno,
quindi io e il gruppo abbiamo una dinamica dentro
differente,
siamo pronti a tutto e ci aspettiamo di tutto.
Una volta arrivati
in casa le preoccupazioni diventano:
in quale spiaggia andiamo? Cosa mangiamo?
Ci ospita quel tuo amico con la piscina? Barra o Tofo?
(Le migliori spiagge di
Inhambane)
Perchè scegliere? Tutto e di più. Soldi pochi ma molti contatti,
che
è quello che serve ovunque ad ogni latitudine: contatti giusti.
Puoi andare
a visitare un’isola apparentemente semideserta
ma se conosci il giovane
brillante del posto tutto si trasforma
e anche l’isola più selvaggia diventa il
posto migliore
dove vorresti sempre stare, sapendo con chi bere, mangiare,
curtir, danzare e con quale ci posso provare?
Ad essere
una scheggia impazzita nel cosmo ce ne sono di vantaggi.
Tu passi lungo la tua
traiettoria e se qualcuna incrocia il tuo percorso
la trafiggi senza dubbi e
poi continui per la tua,
lasciando sempre un buon ricordo,
in caso l’orbita ti
riporti nei paraggi.
Ma tutto questo
è carne e a Inhambane non conta o conta poco.
Inhambane è fatta per respirare
con l’anima, è fatta per stare in cielo,
leggero e spensierato.
Grazie ad un
pranzo abbondante la pancia è contenta
e mi lascia felice nel mio spleen
tropicale
senza nessuna interruzione.
Quante stelle che si conoscono standosene
in una notte tropicale.
Che sia un deserto, un fiordo a nord o una spiaggia a
sud,
che spettacolo che abbiamo a disposizione.
Ti amo Terra, Gaia! Strabella.
Ti amo Vita che mi permetti di vedere e conoscere Gaia,
ti amo Circostanza, ti
amo Esistenza, ti amo Avventura,
ti amo Curiosità, ti amo Locura, vi amo tutte,
mie Muse,
la mia scuderia di gnocche,
SF non è mica solo Scuderia Ferrari,
uè!
Sincero, vi adoro tutte, vi amo.
Spiagge,
dune, tuffi, il richiamo dei tamburi e delle congas,
musicisti della capitale
gli incontro in un bar a suonare.
Condivido il momento.
Non sono gli unici ad
avere facce conosciute,
riconosco anche il personale di un’ambasciata
e gli
amici del Museu e della Zona Militare.
Tutto
perfetto, ma non me ne voglio andare.
Come restare
a Inhambane?
Avere i
soldi non è l’unica soluzione, serve un piano.
Avendo
viaggiato per l’Europa
ho conosciuto civiltà ben organizzate come gli
Svizzeri,
i Francesi, gli Olandesi, i Danesi e i Tedeschi
(mi manca la Svezia,
cribbio!).
Loro sanno come segnalare posti, centri, punti d’informazione,
come
sviluppare il Turismo e farne un lavoro redditizio
e funzionale.
Noto subito
che a Inhambane manca ancora quasi tutto
nonostante sia ricca di tutto.
A livello
naturale è al top: cazzo è un Paradiso.
Inhmbane è
importante per la storia del Mozambico,
è importante per la storia in generale,
specialmente da quando Vasco da Gama c’è venuto a gettare l’ancora.
Me lo
immagino, dopo mesi di navigazione,
fermarsi in una baia così silenziosa e
stupenda.
Essere accolto da questa boa gente, essere rapito da uno sguardo.
Poi di
colpo: la confusione e la prepotenza
che caratterizzano la storia dell’uomo,
sbarcano anche i colonizzatori.
Di
conseguenza il rigurgito, la lotta per l’indipendenza,
il ruggito per la
vittoria e proprio a Tofo è che Samora
riunisce il primo Governo Mozambicano
e
viene scritta la Costituzione.
Quella sala, proprietà delle Ferrovie dello
Stato,
oggi è una Galleria d’Arte. C’incontro opere e amici artisti.
In città
(I’Bane) ci sono sicuramente altre attrazioni interessanti
oltre al
bar-risorante gestito da un’italiano,
un altro bar con musica ao vivo, il
Cinema Cine Tofo,
la Casa da Cultura, il Museo, ok e poi?
Manca un ArtCasa come
quella che aprì io a Lisbona
con altri 7 incredibili Soci.
Perfetto, se manca
qualcosa significa che c’è spazio e opportunità.
Devo trovare il modo
di creare
un legame con quest’angolo di Paradiso
e la Cultura legata al Turismo può
essere un’ottima carta.
Curiosamente in Moz il Ministero della Cultura e del
Turismo
sono fusi assieme come un Super Sayan,
di colpo mi sembra un vantaggio.
Ho idee, sono capace di creare un progetto
e con l’Università nella Capitale
posso facilmente arrivare ad un Ministero
per presentare un Sr. Progetto per
uno sviluppo funzionale
che dia da mangiare a chi vive a Inhambane, creare
occupazione
e dinamizzare la cultura. Inhambane è piena di giovani
anche perchè
è la capitale della Provincia di Inhambane
(68'775 km quadrati) e ospita varie scuole
e l’Universitá di Hotelaria e Turismo = giovani studenti
da tutto il Moz.
È un
posto stupendo, punto.
Nella mia testa:
il Dipartimento dei Castelli per aria
inizia a fare appalti.
Round 3.
Il giorno 3,
teoricamente, è per tornare a Maputo
ma non ci riesco, resto.
L’importante è
che il giorno 8 io stia nel mio ufficio a lavorare,
ma fino a quel giorno sono
libero.
Il gruppo torna a Maputo, io resto con l’organizzatore del viaggio:
Edson.
Dobbiamo parlare bene, anche solo aiutare Edson
a sviluppare il suo
progetto MCA di Moz Camping Adventures
è un’ottima maniera per viaggiare, fare
contatti, esperienze
e conoscere il Mozambico coi Mozambicani.
Il giorno 4
sono già a passeggio da solo, mi sento a casa.
Vado al mercato a fare compere,
a scegliermi i pomodori per il sugo,
le cipolle per il soffritto, il pescello
bello, i gamberoni,
c’ho tutto? Mi scordo qualcosa, torno indietro al mercato,
ero appena uscito, questione di venti metri,
sento che dovevo tornarci. Arrivo
alla bancarella,
trovo quello che avevo dimenticato dalla lista e poi,
guardando verso le bancarelle degli artigiani,
riconosco un amico artista di
profilo < ! >
non mi sembra vero che sia lui,
non aveva in programma di
venire a Inhambane...
Mi avvicino incredulo e “Victor!? E sì che sei tu!”.
Gioia e tripudio nel mercato, ci abbracciamo,
sono mesi che non ci vediamo.
Victor Mutepa,
Artista plastico da Matola, un grande incontro.
Un grande amico.
Come uomini ci intendiamo perfettamente,
siamo molto in linea su vari principi
e valori,
sulla convinzione di voler e poter vivere come Artisti,
sull’importanza
di Comunicare,
sull’urgenza di Riciclare e di Educare a come trattare i
rifiuti,
un problema di tutti per tutti, anche qui in Paradiso.
Ci siamo
conosciuti desde o início da minha esperienza a Maputo
nel Dipartimento
Culturale all’Università Politécnica.
Mito, suo nipote, partecipa al corso di
Teatro nell’Università
e ci ha fatto conoscere.
Stiamo (a rilento ma stiamo)
realizzando lo spettacolo teatrale
sull’isola di plastica, a “ilha de plastico”
per sensibilizzare o pessoal dell’esistenza di quest’isola maledetta
che vaga
come una morte nera nell’oceano Pacifico (Plastic Vortex).
Per il momento
abbiamo fatto un documentario-intervista su Victor
e sul “Lixo que diventa
Luxo” spiegando il suo lavoro d’artista
che reinventa quello che buttiamo fuori
di casa,
“o lixo” la spazzatura,
che torna in casa come opera d’arte, “o luxo”.
Inoltre Victor ha delle vecchie cassette Hi8
con un’intervista a Malangatana, il
più grande (ex)
Artista Mozambicano.
Devo ancora trovare qualcuno che mi passi
il video dal tape al digitale.
È materiale inedito e di valore Culturale.
Cazzo,
quante cose ancora da fare, e ce la devo fare.
Ammetto che volevo finire questo
capitolo già oggi, 23 Aprile 2017,
dia mundial do Livro. Ma sono stanco, mi
bruciano gli occhi.
Fumo una, mi vedo in streeming una puntata di Crozza
e vado
a nanna, niente Núcleo stanotte, non ne ho bisogno.
Continuo domani, tanto la
gioia di incontrare un amico
sembra una festa eterna, quell’abbraccio è intenso
ancora adesso
a mesi di distanza, domani ricomincio da qui.
[ II ]
Pause.
Anche Victor
è stato subito contagiato dall’aria alla camomilla d’I'bane,
anche lui si
chiede “Com’è che ci resto qui?
Safoda la city e la confusione.”
Non abbiam
bisogno di intro,
siam così in linea col pensiero che stiamo già in pista
ad
escogitare qualcosa, qui ci dobbiamo restare
e dobbiamo anche avere un lavoro
per mangiare.
Sfodero il
mio classico Menù Combo “della casa”
sempre pronto tra i miei pensieri
come un
format vincente, soprattutto se la butti sul sociale
e sul “poche pretese con i
possibili guadagni”
perchè quello che conta è che te la vivi bene e zero
stress.
Propongo l’idea: aprire un’Associazione Culturale,
trovare uno spazio
per la sede, creare attività, corsi, iniziative,
pubblicizzare bene il tutto,
avere sempre in esposizione opere,
sculture e altri trofei per i turisti e la
per la loro fame di souvenir;
interagire con la comunità locale, appoggiare e
integrare
le iniziative culturali locali, dinamizzare, fare rete con la
Capitale,
con l’estero e creare un nuovo centro culturale forte
tra Beira e
Maputo.
Beira sta al centro del Moz.
Ha festival e altre attività culturali
forti na Beira,
creare un altro punto di riferimento nel mezzo non è niente
male,
tra l’altro nella vicina Zavala c’è il
Festival Internazionale della
Timbilla,
uno degli strumenti tipici della tradizione.moz,
un festival che
richiama musicisti e antropologi da tutto il mondo,
un capitolo a parte, ma
quale capitolo, un libro a parte,
una Vita e una Dimensione tutta da
assaporare, a piene mani...
Africa, Mozambico...
Un post su facebook di un
piatto non ti da la stessa festa
ed emozione in bocca, le papille gustative
sono fatte per sentire
e non per immaginare. Vai là per assaporare.
Certo che si
mangia bene anche in Africa.
Il problema è che non è per tutti.
Qui in un
bar decente con quattro tavolini all’ombra
e una tv collegata al resto del
mondo, trovi l’offerta allettante
di una bella colazione all’inglese “a soli”
230 meticais
(3,20 euro)
ma chi cazzo ce li ha 230 meticais da spendere solo
per la colazione?
La maggior parte delle famiglie manco li spende 230 meticais
per mangiare in una settimana.
Ma non mi voglio (e non ti voglio) stressare
agora
a ricordare quanto è assurdo “il nostro” sistema,
sto in Paradiso e ci
voglio restare.
È da un anno
che sto in Moz, sono già terribilmente abituato
a tutto e a niente.
Ma dove
cazzo c’è scritto che tanta gente
debba proprio passarsela male male male? Mah.
Grande Mah.
In Italia la
povertà aumenta e in Mozambico si lotta per uscirne.
Ma lo vedi
che è vero che la montagna sarà erosa
fino ad essere una collina
e che la valle
diventerà una montagna?
O com’era quella combo i-ching,
sì insomma i grandi
mutamenti, la ruota che gira,
l’interpretazione filosofica
(del mondo nelle sue
varianti naturali e nelle dinamiche universali)
della teoria che tutto si
trasforma.
Ma in una
società folle quali sono i parametri e i punti di riferimento?
Quando la
più corrotta attività umana nel mondo
era tipo un feudo medioevale disperso tra
le colline
o in una nebbiosa pianura, a quei tempi la nostra brutalità
e il
nostro impatto erano un triste privè
che un’ondata improvvisa poteva
cancellare.
Poi si sono
creati gli imperi e i danni cerebrali sono aumentati,
l’arroganza pretendeva di
essere scritta
e incisa bene nella memoria collettiva,
la storia era già vista
come un’attrice da istruire
per farla recitare a comando in futuro.
Gli errori
sono umani e si riconoscono proprio perchè
non hanno la minima percezione che
in futuro
le cose sono sempre differenti e appaiono incognite e imprevisti
che
erano fuori da qualsiasi radar,
per quanto tutto possa essere già scritto
esiste un momento preciso nel tempo e nello spazio
in cui una cosa “succede”
trasformando la realtà
da come la si percepiva prima a come la vedrai dopo il
botto.
Pensa ad un’esplosione.
Le
geo-politiche di oggi hanno un impatto su tutto,
dalle risorse idriche alle vie
di comunicazione,
dai consumi ai trasporti,
movimentazioni complesse ed
intrecciate su scala globale
tante quanto le schegge di vetro di una finestra
in frantumi,
ma mettici pure le schegge di legno dei serramenti
e qualche pezzo
di intonaco,
l’impatto è così forte che è già tanto che la casa sta ancora in piedi.
Siamo in
cappotto a 360 km/h,
dimmi tu quale riferimenti posso riconoscere.
È giá tanto
se mi riconoscono “ammè” dopo un botto così.
Mi ricorda
l’incidente di Profeta
e dell’amico suo alla Donnie Darko;
li incontro una sera
fuori dal pub,
poi li rivedo la sera successiva con qualche livido in faccia.
Loro sono sempre gli stessi bruciati del quartiere
ma nel frattempo nella notte
buia e tempestosa
erano usciti da un triplo cappottamento carpiato con la
macchina
sulla A4, la Milano-Laghi appunto,
in scivolata sul tettuccio per
trecento metri,
con scintille come fuochi d’artificio in faccia a Capodanno
e
minkia che danno!
Ma loro niente, praticamente illesi
e si vedeva che
l’adrenalina li aveva fatti pure divertire di brutto,
strafatti di vita.
Anche
l’umanità può “giocarsi il jolly” così?
Entrare in
un incidente globale e uscirne illesi e presi bene.
Mah, sarebbe
figo.
Ma non mi
convince.
Inhambane è
un paradiso,
ma se si alzano le acque di due metri sparisce tutto,
rimangono le
palme a mollo con la testa spettinata fuori.
Minkia che
scenario: in canoa,
scivolando silenzioso tra centinaia di cespugli di cocco,
punto di ritrovo di decine di chiassosi volatili.
Le principali cittadine lungo
la costa sommerse
e cancellate da google earth.
Per i villaggi rurali
nell’interno
sembrerebbe che non sia successo niente,
rimarrebbe la stessa vita
di sempre:
zero elettricità e sporadici rifornimenti.
Le zone
interne africane sono già abituate a vivere
senza che sia presente “il sistema”
per come lo conosciamo,
in un intreccio di distribuzione, partilha,
condivisione d’informazioni, servizi e sistemi sempre a regime.
Nada, solo
“vediamo ogni giorno come facciamo”.
Che la borsa
di Wall Street esista o meno cambia poco,
davvero.
Addestramento
basico.
Finchè il
mondo è così bello bisogna goderselo,
tipo poter respirare mentre sei ancora
nella battaglia,
è già un lusso. Non ti hanno ancora forato un polmone.
La cotta, la
maglia di ferro. Ma dove stavo?
Terrazzo,
nella casa dove siamo ospitati.
Bevendo
“sura” una bevanda tradizionale .
Sperimento
con un goccio di whisky, ancora meglio.
Dev’essere
ben gelata tipo limoncello.
Dicono
“faccia cose”,
l’importante è che non mi facca strani effetti.
Butto giù
ricordandomi che la battaglia qui è con le proprie capacità,
auto-sostentarsi
il più possibile facendo quello che si ama,
è già un fight every day nada mal.
Interrogo
Edson su cosa ci sia come “locale storico” a I'bane
e mi parla del palazzo del
Governatore, della Casa da Cultura,
il Cine Teatro Tofo, casa Hoffmann
e della
chiesa portoghese che abbiamo visto da fuori,
la torre con i quattro orologi
fermi ciascuno ad un’ora diversa è il punto più alto della città,
una volta
l’accesso era aperto,
poi per colpa di qualcuno non ci sale più nessuno.
“Ci voglio
salire.”
Mi parla
della statua di Vasco da Gama,
dettaglio che risulta anche nelle guide
turistiche ufficiali
ma non è attualmente esposta, è in un cortile in attesa di
restauro.
E parlando di cortili c’è il portico delle deportazioni,
vicino al
palazzetto dell’EDM, l’enel mozambicana.
200 metri quadri di giardino incolto
in pieno centro
e una struttura tipo uffici e magazzino in disuso
occupata dai
materiali della società dell’acqua, la FIPAG.
Nota bene: locale storico
abbandonato.
Quando la Cultura non è una priorità,
anche il locale storico
viene occupato per ben altre necessità.
A proposito
di necessità, ma perchè Victor sta qua?
Con Victor
in conversa, mi spiega che sta a Inhambane
perchè il padre di un amico sta
morendo
ed era venuto a dargli un ultimo saluto.
Prendiamo sul serio
l’idea di
creare qualcosa di buono e funzionale a Inhambane.
Il figlio dell’amico malato
è di Inhambane,
ha un contatto nel Municipio, perfetto,
chiudiamo la serata
combinando una visita al Municipio
il giorno successivo.
L’obiettivo è fare
contatti con “chi manda”
e informarsi se la Camera Municipal ha spazi/luoghi
storici in disuso
dove un’Associazione potrebbe installarsi
per recuperare lo
spazio e rianimarlo.
Mi sveglio
il giorno dopo con il sorriso in faccia,
sono al 5º giorno del nuovo anno
e mi
ritrovo dall’altra parte del mondo a fare le stesse cose
che facevo per la mia
associazione culturale in Italia,
il “5º Livello” con entusiasmo rinnovato,
con
un’esperienza come armatura,
ultra-stimolato dal nuovo scenario.
Scenario
espresso.
“Ma neanche
Photoshop”
pensai una volta strabigliato dai toni e dai riflessi di un tramonto
in una baia silenziosa d’Inhambane dove sorpresi Dio a riposare,
dalla fretta
di nascondersi aveva lasciato la tavolozza
con tutti i colori. Uno spettacolo
buono e giusto.
L’ho ringraziato tante volte, felice per tutto questo.
Felice che
almeno Victor è di parola,
ci troviamo in piazza all’ora convenuta
e andiamo
verso il Palazzo Municipale.
Municipio.
Un
palazzotto di meringa bellissimo,
devo tornarci e farci trecento foto, un
evento, esposizioni,
è una bomboniera che non può essere sacrificata solo
all’istituzione.
Ci vuole un artista in cortile libero di agire.
All’entrata la
guardia mi fa notare che non posso entrare
perchè sto con i calzoncini corti e
in un ufficio pubblico non si pò.
Chiedo scusa facendo notare
che sono solo uno
straniero ignorante che lottava contro i 38º estivi.
Spiegando che abbiamo un obiettivo preciso
ci
lascia sgattaiolare dentro dritti all’ufficio catasto
dove lavora il nostro
contatto.
Entrando mi nascondo dietro a Victor
e mi approssimo al bancone
rapido
per non mostrare le gambe rosso gamberone
classiche del turista
occidentale arrostito al sole.
Se ero calabrese e m’abbronzavo
“ero scuro come
a loro” in mezza giornata,
ma sono stato allevato in terra padana
e prima di
una bella abbronzatura beije da biscotto cotto,
devo prima passare varie
tonalità di arancione e rosso gamberone.
Poi io ho fatto pure il figo e alla
prima giornata in spiaggia
zero crema, risultato un semaforo rosso
lampeggiante,
pelle rossa, infatti sono un cavallo pazzo,
di notte mi
riconoscevano senza problemi.
Qui al
catasto invece non ci conosce nessuno,
quindi il consiglio è presentarsi
all’ufficio
che dirige le attività culturali e turistiche, perfetto.
È vicino,
dieci minuti a piedi.
Pausa mata bicho al bar Verdinho,
quello gestito da un
fratello d’Italia.
Fanno un toast con la pancetta
che è una bomba energetica
perfetta,
ci si scola una birra fresca e grazie a Dio il caffè è buono.
“Non si
può fare di meglio con quest’acqua del cazzo”
lamenta Antonio il proprietario,
ma a me già sembra un capolavoro di caffè
calcolando quanto siamo lontani dalla
civiltà dei grandi consumi.
C’ha pure la cremuccia.
Arriviamo all’ufficio
giusto,
uno dei posti più tranquilli dove lavorare,
gli impiegati non riescono
a nascondere nello sguardo la sorpresa
per l’arrivo di un fulano e di un bianco
interessati a qualcosa.
Ussene, un
simpatico signore,
trova finalmente l’opportunità di poter raccontare
tutto
quello che sa su Inhambane, è felicissimo
e noi siamo curiosi e pronti.
“Sono felice
come Indiana Jones quando trova una mappa del tesoro.”
Vado diretto
al punto:
cerchiamo uno spazio storico, di proprietà del Municipio,
per
recuperarlo e farci la sede di un’associazione culturale
che possa investire
tempo e capacità
per dinamizzare la scena culturale e turistica a Inhambane,
ordunque, avete posti idonei per questa rivoluzione socio-culturale
a
propulsione italo-mozambicana?
Risposta: Sì
(BENE)
e scatta l’elenco Cine Tofo, Casa della Cultura,
patio delle
deportazioni e l’antica chiesa portoghese.
“Quella della torre?” chiedo io
pronto ad incalzare con il domandone
“ci possiamo salire sulla torre?” e yes,
we can!
Ci sono
tante cose storiche a Inhambane,
Ussene ci propone di andare da un amico suo
che può aiutarci
a scoprire molto di più, tanto è tutto vicino
in questo
posticino tipo Paradiso tascabile.
Edizioni “IL BRADIPO”.
Bradipi lo sembriamo
noi a passeggiare a rallentatore
per il gran calore.
Passi epici manco stessimo
scrivendo una pag... No, aspetta,
la stiamo scrivendo sì una nuova pagina di
storia,
erano anni che un impiegato del Comune non alzava il culo
per fare il
suo lavoro. Era proprio il momento
per aprire porte che erano rimaste chiuse da
tempo,
cose dimenticate.
Arriviamo al
cortile dove hanno parcheggiato Vasco da Gama.
Che uomo.
Che pioniere. Bella statua. Devono
restaurarla.
518 anni
dopo stanno ancora parlando di te, bro.
Doverosa,
non ora, ma doverosa lettura: la storia di Vasco da Gama.
Googolata e
un galeone di Storia.
Scusa se ti
do lo sbatti del search in google,
altrimenti questo post finisce per essere
lungo come un vangelo.
Andiamo da
Fausto
(si, metà popolazione Mozambicana ha nomi italianissimi,
amori miei:
Sofia, Maria, Laura, Paola, Gina, Rosa,
Fiona, Jessica, Salva, non sono
tradotti, sono proprio così.
Poi c’é il capitolo “Curiose Varianti” tipo:
Yolanda,
Get, Yurca, Luzneidy, Lolizzy, Monika, Pyka,
Pyka!!?? Quitéria e tanti altri...)
e Fausto è il Personaggio che dovevo incontrare.
Capisco che ha un’attività,
sta in un cortile e ha un capannone tipo meccanico
ma non vedo macchine a parte
la sua
che è praticamente un carro-attrezzi e c’ha pure un nome: Felisbela.
Strabella.
Ma non vedo
attrezzi, vedo un bancone vecchio e consumato
e cartelloni pubblicitari contro
una parete.
C’ho messo due giorni a capire che fa il grafico.
Ma la confusione
non è dovuta solo al calore e alla mia fusione,
è che m’han portato qui perchè
Fausto sta riparando
una vacchia Ford degli anni ’20,
regalo di Samora al primo
Governatore della Provincia di Inhambane.
Che stile. Tornerà a funzionare.
Vedremo.
Inoltre
Fausto conosce bene la storia di Inhambane e dintorni.
Fausto è un cittadino
informato, ama la sua terra
e ispirato dal momento ci propone di andare a
vedere un posto
poco frequentato e quasi sconosciuto,
l’antica polveriera
portoghese vicino alla spiaggia
nella parte più interna della Baia di
Inhambane.
Un’insenatura ben celata
dove anche l’acqua dell’Oceano Indiano
sembra un laghetto tranquillo per esercitarsi con la barchetta a vela.
Preso bene
dalla disponibilità chiedo 10 minuti di tempo
per correre a casa a prendere la
macchina fotografica.
Corro felice verso casa,
non correvo così da quasi un
anno quando a Lisbona
stavo perdendo il volo per
Istanbul/cambio/Johannesburg/pit stop/Maputo.
Mentro irrompo in casa
spiego
correndo a Edson cosa sta succedendo, lui è occupato,
neanche avevo considerato
l’opzione di perdere altro tempo,
torno correndo, salto a bordo con Victor e
Ki, il figlio di Fausto,
nel cassone del carro-attrezzi
che in effetti non ha
più il braccio e il gancio per rimorchiare le auto.
Fausto alla guida di
FELISBELA e Ussene al suo fianco.
Uno Spiderino Mozambicano.
“Come ti
chiami?” chiedo al figlio di Fausto.
“Ki”
risponde lui.
“Come chi?
Tu, come ti chiami?” poi ho capito.
Con questo
caldo tropicale non c’è niente di meglio
di un giro in macchina lungo mare,
svaccato nel cassone a filmare
(devo ancora editare) a prendere aria fresca,
felice come un labrador.
Manca la bocca aperta e la lingua a prosciutto cotto
tutta fuori.
Até passiamo l’ospedale,
poi poco più avanti parcheggiamo a destra
in un piazzale.
Ci inoltriamo in un bairro, sentiero pulito,
qui tutto è molto
più ordinato e ben conservato
rispetto ai “lamieroni”
dell’arrugginita e
accartocciata periferia di Maputo.
La città fa male, è proprio un modello
insostenibile.
Aldeie allargate, questa è la mia visione di futuro,
basta
città,
più paesi meglio organizzati che metropoli corrazzate,
formicai con
ascensori.
Ascensori che tra l’altro a Maputo manco funzionano.
E se funzionano fermano solo al 3º, al 7º e
al 10º.
Robe così.
“Una città senza manutenzione” che surrealismo il moz.
E
dove non arriva la manutenzione ci arriva l’invenzione.
“L’arrangiata.”
A parte
dove ci sono i bianchi ed i soldoni,
lì invece c’è tutto, pure il di troppo,
purtroppo.
Dobbiamo stressarci meno, dobbiamo inquinare meno.
Intanto le gambe
vanno,
entriamo letteralmente nel cortile di qualcuno,
poi di colpo la vedo: la
paiola.
La
polveriera portoghese, un magazzino fortificato,
mura a prova di cannone ma nel
dubbio
anche un percorso sotterraneo di sicurezza
per tagliare la corda in caso
di sbarco nemico
per evitare un inutile assedio.
Dentro è il classico posto
abbandonato da tempo:
quasi tutto annerito a causa di un’incendio,
tetto mezzo
pericolante, graffiti di sette e di clan rap
che minacciano di dominare il
mondo,
sicuramente c’è morto qualcuno,
sicuramente c’hanno vissuto decine di
persone,
sicuramente potrebbe essere recuperato
ed essere un punto di passaggio
per i visitatori.
Faccio un giro attorno alla paiola, ben nascosta tra le
palme,
la spiaggetta è a trenta metri,
se l’acqua si alza arriva quasi a
bagnare le mura fortificate.
Ripercorrendo il sentiero Fausto ci mostra altri
dettagli.
Rientriamo nel cassone e si torna verso il centro,
lungo la strada mi
mostrano il Portico delle deportazioni.
Un fazzoletto di terra verdissimo e
incolto,
un edificio bianco, basso, anonimo.
Centralissimo, di fronte ha le
fermate degli chapa,
a 50 metri c’è il Clube Ferroviario che è uno dei posti
migliori
dove far festa e a 100 metri il porto
dove si prende il battello per
attraversare la baia
e andare a Maxixe. (Mashish’)
Rimaniamo
d’accordo che il giorno dopo si va alla torre
e al burraco dos assassinados.
Round 4.
Colazione
abbondante e poi finalmene alla torre!
Si aprono le
porte.
La chiesetta portoghese è una vecchia bomboniera di legno,
lo stesso
legno con cui poteva essere fatto un galeone
e il marcio umido avanza in certi
punti.
Uno scheletro di ferro di una barca lasciato ai piedi dell'altare
mi suggerisce un'istallazione dove tutto il pavimento
è sommerso nell'acqua limpida e nel mezzo
lo scheletro della barca
e vicino un tronco di legno grande uguale.
La fonte battesimale divisa
in due,
da una parte si battezzavano i bimbi bianchi,
dall’altra i bimbi negri.
Ma tu pensa che rincoglioniti nel passato ad essere razzisti.
Che vergogna.
La
scaletta per salire in cima è così arrugginita
che potrebbe sgretolarsi come un
cracker.
Mi tengo il misto di dubbio e paura fino all’ultimo piano
dove
finalmente ci godiamo la vista che ci aspettavamo.
Altro
dettaglio interessante è il meccanismo
che azionava i quattro orologi della
torre.
Ciascuno parò ad un’ora differente.
Chissà se capitò nello stesso giorno
o in epoche differenti.
Mi ha ispirato per vari racconti
legati a quello che è
successo nell’ultimo minuto
in cui cada orologio ha funzionato.
L’rologio a
sud segna le 10:12;
a ovest le 04:54;
a nord le 05:00
e a est le 05:15.
Mi ricorda
un orario ben impresso nella mia memoria,
il “minuto fantasma” o "l'ora fantasma"
quando le
lancette si sovrappongono per un minuto,
in realtà meno perchè nei 60 secondi
che scandiscono un minuto
la lancetta si muove, seppur in maniera poco
percettibile...
“Eppur si muove”.
Ma esistono 24 istanti giornalieri
in cui le
lancette si sovrappongono
e appaiono come un’unica linea a tentar tracciare la
distanza
tra il centro e l’area del cerchio.
Nella mia
epoca Milanese,
tornando a piedi verso la Stazione Garibaldi
per il primo treno
del mattino,
passai per una Piazza Duomo deserta,
m’incamminai lungo la
traettoria di Cordusio e Cairoli.
Ero così preso nei miei pensieri e così
stanco
che guardavo solo dove mettevo i piedi, uno dietro l’altro,
sempre più
vicino alla méta.
Spunto in Piazza Cordusio dalla Via dei Mercanti.
Non capita
spesso di avere la città tutta a disposizione,
il silenzio domina tanto la
scena
che mentre passo davanti all’ufficio dell’unicredit,
riesco a sentire il
“tlack” della lancetta dei minuti,
guardo verso l’orologio collocato in cima
all’entrata principale.
Segna le 4e20.
Silenzio.
Penso “il minuto fatasma,
eccolo qua”.
Scruto la piazza,
di giorno è sempre così congestionata che sembra
irriconoscibile.
Mentre mi godo i dettagli dei palazzi sento un rumore
indefinito
aumentare rapidamente ma le strade sono deserte.
“Oddio mò scoppia
qualcosa”
il rumore aumenta sempre più ed ecco a sorpresa
un grande stormo di
piccioni passare in gruppo
alla massima velocità possibile da Via Dante a Via
Orefici.
Curioso, non avevo mai visto una competizione aerea di piccioni.
Ma
eccoli arrivare da Piazza Duomo, compatti e velocissimi,
imboccano la Dante e
sfrecciano fino al Castello.
Rimango ad osservare la statua del Parini
aspettandomi un commento suo,
siamo gli unici testimoni di questi giochi aerei
notturni.
Lo stormo torna ancor più rapido,
s’incanalano nella Via Orefici
e
tornano dalla Via dei Mercanti lanciati vero il Castello.
La città è tutta loro
e giustamente si divertono.
Qui a I’bane
piccioni non ce ne sono,
ci sono corvi e fenicotteri rosa.
Epah, andare
dietro alle tracce del tempo
e ai fatti storici che si sono susseguiti
in una
danza che non si ferma mai
è sempre interessante, anche se a Inhambane
molti
fatti storici dell’incontro tra le due civiltà
sono intinti nel sangue di
migliaia di innocenti.
Non si ha idea di quanti uomini, donne e bambini
furono
allineati nel portico delle deportazioni
per poi essere stivati nei galeoni che
partivano per le Americhe.
Che viaggi, che imprese, che pretese.
Che miscugli di dna fino ai popoli che oggi
popolano le varie nazioni del continente Americano.
E non solo.
Ci sono
altri dettagli e storie da raccogliere lungo il cammino,
l’emozione forte
rimane osservare la sala dove 42 anni fa
Samora e il 1º Governo Mozambicano
scrissero e riconobbero
la loro Costituzione.
Tutto l’operato di Samora merita
una “googolata” approfondita.
Alla fine Samora Machel era un Che Guevara
africano
ma a differenza del Che,
Samora era riuscito a governare il suo paese
fino all’incidente aereo che lo fece prematuramente scomparire.
Ancora adesso è
rispettato e rimpianto.
Ma con la sua scomparsa è scivolato via l’entusiasmo
ed
è iniziato il “corri corri” per vendere tutto il possibile
al miglior
acquirente.
Ecco come si arriva alla “divida oculta”
e ai problemi di
corruzione statale ad ogni livello,
dal poliziotto che ti ferma per strada al
più alto dirigente.
Tutto il mondo è paese.
Peccato, ci
sono davvero dei vantaggi
ad avere una
Costituzione fresca fresca
che non ha passato neanche il suo primo quarto di
secolo,
“a luta continua” a sério e la fortuna per il Moz
è una nuova
generazione interessata ai Diritti,
alla libera informazione e a difendersi il
proprio futuro,
difficile o meno che sia. Qui è tutto difficile, o quasi...
Quello che
per me è facile è approfittare di anni di scuola,
di quella infarinatura base
che la scuola italiana m’ha garantito
rendendomi già un eletto, un essere
fortunato ed illuminato
che “sa cose” e mi ritrovo dopo anni
ad apprezzare
l’Arte e i suoi protagonisti da un posto in prima fila.
Oltre ad
un’immersione dettagliata nella storia di Inhambane
ho già collezionato altre grandi soddisfazioni.
Grazie ad una recente collaborazione
con un’investigatrice
portoghese dell’Università do Minho,
l’ho accompagnata in lungo e in largo per
filmare un nuovo inedito
documentario sulla vita di Malangatana,
il più grande
ex-artista mozambicano
e anche in casa Chissano,
altro grande Maestro.
Ci siamo inoltrati
anche nel Bairro do Aeroporto
lungo le tracce degli scultori.
Amare la
Cultura e viverla appieno senza essere un turista
è una soddisfazione.
Gli
Artisti che rappresentano il proprio paese o il proprio stile,
lasciano una
carga creativa che non affievolisce col tempo,
non prendono polvere.
La
creatività rimane nell’aria, nei luoghi,
tra le pennellate e i solchi scavati
nel legno,
tra le pareti o tra gli alberi curvi e ritorti dal tempo.
È un’energia
che alimenta lo spirito,
che da forza per continuare a creare e a lottare.
Anche perchè nessuno di questi grandi Artisti
era dissociato dal contesto
sociale, erano tutti attivi,
a modo loro, per incamminare il proprio popolo
verso una nuova concezione del vivere.
Far pensare,
far aprire gli occhi, spalancarli per bene,
come se dovessimo urlare o cantare
attraverso
questo specchio della nostra anima.
Sto
incontrando quello che sognavo,
ho fatto bene a credere nei libri.
Ho fatto
bene a credere nella bellezza, nell’arte
come ponte fra le sponde di civiltà
tanto diverse.
Ho fatto bene a credere nel dialogo creativo
in cui ci
riconosciamo tutti, quando la priorità è
creare,
fare ciò che amiamo e lottare per realizzare qualcosa di sempre nuovo.
Che ci sia un seme nostro nel dna di un futuro migliore,
a qualunque costo,
contro ogni arrogante previsione di guadagno.
Non sarà una
manovra economica a salvarci
ma un gesto d’amore.
Finchè gli
alberi ci daranno frutta così dolce e succosa,
finchè i libri avranno storie
per farci emozionare
e per farci viaggiare oltre le nostre teste,
oltre le
quattro pareti delle nostre stanze, delle nostre aule,
dalle nostre silenti
biblioteche, oltre la siepe di Leopardi
e oltre quello che la vista ci consente
dalla nostra finestra,
finchè ci sarà da esplorare, da vivere e da capire, ne
varrà la pena.
Sempre.
Avanti
tutta!
Fine del Capitolo 4.
< Kanimambo! >
(Grazie!)
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