martedì 11 luglio 2017

Capitolo 4. Le conseguenze dell'Amore per la Cultura - seconda e ultima parte -


Capitolo 4.
"Le conseguenze dell'Amore per la Cultura" - seconda e ultima parte -







4e20 in Piazza Cordusio. Milano.
Le conseguenze dell’amore per la Cultura.
Inhambane. La torre dei 4 orologi. 



Cap. 4 “4e20 in Piazza Cordusio”.


Sono 16 anni che sto tentando di finire il mio primo libro.
518 anni dopo Vasco da Gama arrivo a Inhambane 
e una misteriosa torre con i suoi 4 orologi fermi 
a indicare quattro ore differenti ai quattro venti, 
mi aiuta a ritrovare la strada, una nuova rotta 
per arrivare in un porto sicuro e concludere una grande traversata 
tra il dire e il fare. 

“L’uomo tagliato a fette e altri 7 racconti di Simone Faresin” 

con la parte “e altri 7 racconti di Simone Faresin” scritta più piccola 
sotto al titolone “L’uomo tagliato a fette” 
che è un riferimento a Henry Miller - Tropico del Cancro. 

Inhambane è appena sotto al Tropico del Capricorno. 

“Tropico del Capricorno” è sempre di Henry Miller. 

Quel malato di troppa vita, sregolato e senza filtro, 
m’ha stregato con la sua maniera di scrivere. 
Specialmente pensando all’epoca in cui lui è apparso a fare lo sboccato. 
Per noi è facile, 
siamo nell’epoca in cui anche i politici sono sboccati e pippati, 
quindi è tutto più genuino e “na onda” o peggio ancora in onda. 
In bolla. 

Nonostante il programma sia sbagliato 
il muro non è ancora crollato 
e il Parlmento non lo hanno ancora assaltato. 

“Mi chiedo come cada orologio della torre si sia bloccato.
Chissà che giorno era, in quale momento, cosa l’avrà provocato...” 

Le innumerevoli storie della torre di Inhambane 
VS 
le 4 storie che questo Capitolo 4 può raccontare.  







Round 1. 


Ho incontrato Miller in una libreria di Novara, 
stavo facendo tempo prima di un colloquio di lavoro 
rivelatosi utile solo per avermi fatto fare un viaggio in macchina 
e una passeggiata in centro a Novara, 
per aver bevuto un buon caffè Kenyano in un bar 
e per aver comprato i due Tropici di Henry. 

Ho iniziato ad appassionarmi ai suoi resoconti 
mentre lo leggevo su un eurostar che correva tra Napoli e Milano. 
Era il 2004, 13 anni fa, quando presi la decisione che il titolo 
del mio primo libro doveva essere “L’uomo tagliato a fette” 
e immaginavo la copertina: un fumetto in stile Jacovitti 
con due Carabinieri che aprono il baule di un auto 
e ci trovano un corpo fatto a fette, con la faccia del cadavere ingessata 
in un drammatico ultimo sorriso. 
Riferimento ad un articolo di giornale di qualche anno prima: 
un macabro ritrovamento fatto una mattina 
nel quartiere Gallaratese di Milano. Uno dei più malfamati e causa, 
negli anni, di numerosi malintesi presentandomi a dei milanesi 
e dicendo che ero di Gallarate, generando occhiate sospette 
e facendo arretrare  di un passo le loro timorose fidanzate. 

La fermata della Metro Rossa 
nel Quartiere Gallaratese si chiama Uruguay, 
vedendola pensavo sempre 
“Uruguay, ahi ahi, qui sento puzza di guai.” 
Io invece sono di Gallarate, la città 38 km più a nord 
di questa periferia milanese e in tutt’altra Provincia, 
MI VA di spiegarla questa differenza. 

L’ Autostrada dei Laghi unisce Milano (MI) a Varese (VA), 
49 km in linea d’aria. Questo spazio tra un capoluogo e l’altro 
è una delle aree industriali più produttive d’Italia. 
La Regione Lombardia da sola ha un PiL 
(Prodotto interno Lordo, in portoghese PiB: Prodotto interno Bruto) 
più alto di quello di altri paesi europei. 
Lavorando 5 anni per la FedEx ho scoperto un tessuto di aziende 
altamente qualificate che producono per altre grandi imprese 
ed esportano davvero in ogni angolo del pianeta, 
ecco perchè arrivavo io FedEx a ritirare o a fare un delivery high quality, 
con o senza nebbia. 

La cosa più curiosa per chi non è della zona 
è che hanno avuto la tremenda fantasia di creare una città 
alle porte di Milano che si chiama Arese. 

Ora, sul cartello stradale, il nome della città è sempre scritto 
bene in grande: ARESE. 
Avete idea di quanti forestieri, 
sapendo che l’Autostrada unisce Milano e Varese, 
sono usciti subito alla prima pensando che mancava la V 
o che si era persa? Sai, nel dubbio, esco e chiedo... 
Se invece, sbagliando, esci a Gallarate, contattami. 
Ti consiglio io dei posti. La miglior pasticceria, il miglior cappuccino, 
il miglior belvedere, la miglior pizza, caffè , amaretti, gelato, aperitivo, 
passeggio e ok grazie, per oggi può bastare. Cosa volevi fare? 
Solo uno di Gallarate sa cosa si può inventare per vivere il suo tempo. 
Invece a Inhambane lo sappiamo tutti, o quasi, 
cosa puoi fare in Paradiso? Godertelo. 


Round 2.


Beh, almeno l’Autostrada dei Laghi è fatta bene, 
bella scorrevole e paghi solo ai caselli. 
In Moz la Polizia ti ferma almeno trenta volte in trenta punti differenti 
e ho visto spesso durante l’ispezione allungare la nota da 100 
tra i documenti. 
La strada nazionale che unisce Maputo a Inhambane 
è una tela d’artista incorniciata tra filari di palme da cocco 
a perdita d’occhio. 
Verde e spazio, un oceano di spazio a destra nel Canale del Mozambico 
(spazio di Oceano Indiano tra il Mozambico e il Madagascar) 
e un continente africano a sinistra. 
Finalmente niente palazzi, solo capanne. 
Finalmente ordine e calma, 
la Natura è a 360º al 99% e l’umanità è quell’1% rappresentato 
da una striscia di terra battuta che ci serpeggia in mezzo, 
con noi che ci corriamo sopra, 
stretti come sardine in una scatola con le ruote. 
Finalmente. 
Finalmente sto viaggiando un po’ per il Moz. 
Maputo non è Mozambico, Maputo è una città, africana, 
ma pur sempre una città.
Stronza, sporca, incasinata, veloce, stressata, ingiusta, 
puttana, alma grigio asfalto, palazzi vuoti e gente senza casa, 
muori per strada, nessuna redenzione ma forse c’è la connessione. 

“Amigo aqui é Capital, não se ferra nos games” Lívio Barros. 

Grazie a 500 km di distanza tutto quel trambusto polveroso 
non è neanche un ricordo. 
È un metro di paragone entre la vita moderna ed il Paradiso, 
così come fu concepito e presentato. Inhambane Ceu. 
Ti amo, sei il motivo di migliaia di pagine, anni, viaggi, voli, sogni: 
sei quello che cercavo.  

Anche Inhambane è chiamata città 
ma sembra più un paesino di mare, 
sembra si respiri camomilla da quanto ci si sente subito rilassati 
e in armonia col tutto.
E tutto così vicino e a portata di mano che sembra una mia tasca.
Lo chapa arriva nella piazzetta con i parcheggi a lisca di pesce, 
tra bancarelle di frutta, patatine e dolciumi vari. 
Evitare di comprare cibo per strada 
e portarsi sempre l’acqua naturale in bottiglia. 
Il mercato centrale è grande quanto il cortile di casa mia 
ma si compra buon pesce, tanti souvenir interessanti, 
borse bellissime di paglia intrecciata, sandali, cappelli, 
cocco bello dub style e anche un pacco di spaghetti “cucino io”. 

Mi aspettavo di dover camminare per ore ma arriviamo subito 
alla casa dove siamo ospitati. Praticamente c’è: 
una strada principale, quattro vie che s’incrociano, 
un reticolo di vicoluzzi e vicoletti, un pontile verso il Paradiso, 
spiagge, isolette, barchette, scenari tropicali, mangrovie, 
otto miliardi di palme al vento, boa gente, belle gnocche, 
la statua di Samora, un Governatore della Provincia e ualà, 
ecco Inhambane. 


Un pontile verso il Paradiso. 
(Hanno tolto la scala) 






Non succede un cazzo di niente a parte viversi la Vita 
e respirare aria buona e camomilla, perfetto. 
Non ce la faccio più con l’adrenalina della città e quel suo ritmo, 
anche se sono consapevole che probabilmente andrò in crisi d’astinenza 
in un mese, ma vale la pena rischiare. 

Dopo soli 45 minuti sono già convinto: 
io devo trovare un modo per vivere qui. 

Vecchie case coloniali portoghesi dai colori pastello, giardini, 
giardinetti, una media di tre o quattro persone per strada, 
due macchine ogni tanto, temperatura perfetta, baretti simpatici, 
sculture afro occupano l’altrimenti deserto marciapiede, 
per strada una camionetta degli sbirri passa annoiatissima, 
quasi crolla di sonno mentre una buca lungo la strada la scrolla 
agitandola un poco. 
Ad avere anche solo uno scooter sei un signore, 
tutte le strade portano ad una spiaggia, 
nessuno ti chiederà niente, se non per una moneta o se sai l’ora. 

Sono qui per passare l’ultimo dell’anno, 
quindi io e il gruppo abbiamo una dinamica dentro differente, 
siamo pronti a tutto e ci aspettiamo di tutto. 

Una volta arrivati in casa le preoccupazioni diventano: 
in quale spiaggia andiamo? Cosa mangiamo? 
Ci ospita quel tuo amico con la piscina? Barra o Tofo? 
(Le migliori spiagge di Inhambane) 
Perchè scegliere? Tutto e di più. Soldi pochi ma molti contatti, 
che è quello che serve ovunque ad ogni latitudine: contatti giusti

Puoi andare a visitare un’isola apparentemente semideserta 
ma se conosci il giovane brillante del posto tutto si trasforma 
e anche l’isola più selvaggia diventa il posto migliore 
dove vorresti sempre stare, sapendo con chi bere, mangiare, 
curtir, danzare e con quale ci posso provare? 
Ad essere una scheggia impazzita nel cosmo ce ne sono di vantaggi. 
Tu passi lungo la tua traiettoria e se qualcuna incrocia il tuo percorso 
la trafiggi senza dubbi e poi continui per la tua, 
lasciando sempre un buon ricordo, 
in caso l’orbita ti riporti nei paraggi. 

Ma tutto questo è carne e a Inhambane non conta o conta poco. 
Inhambane è fatta per respirare con l’anima, è fatta per stare in cielo, 
leggero e spensierato. 





Grazie ad un pranzo abbondante la pancia è contenta 
e mi lascia felice nel mio spleen tropicale 
senza nessuna interruzione. 

Quante stelle che si conoscono standosene in una notte tropicale. 
Che sia un deserto, un fiordo a nord o una spiaggia a sud, 
che spettacolo che abbiamo a disposizione. 
Ti amo Terra, Gaia! Strabella. 
Ti amo Vita che mi permetti di vedere e conoscere Gaia, 
ti amo Circostanza, ti amo Esistenza, ti amo Avventura, 
ti amo Curiosità, ti amo Locura, vi amo tutte, mie Muse, 
la mia scuderia di gnocche, 
SF non è mica solo Scuderia Ferrari, uè!  
Sincero, vi adoro tutte, vi amo.  

Spiagge, dune, tuffi, il richiamo dei tamburi e delle congas, 
musicisti della capitale gli incontro in un bar a suonare. 
Condivido il momento. 
Non sono gli unici ad avere facce conosciute, 
riconosco anche il personale di un’ambasciata 
e gli amici del Museu e della Zona Militare. 
Tutto perfetto, ma non me ne voglio andare. 
Come restare a Inhambane? 

Avere i soldi non è l’unica soluzione, serve un piano. 

Avendo viaggiato per l’Europa 
ho conosciuto civiltà ben organizzate come gli Svizzeri, 
i Francesi, gli Olandesi, i Danesi e i Tedeschi 
(mi manca la Svezia, cribbio!). 
Loro sanno come segnalare posti, centri, punti d’informazione, 
come sviluppare il Turismo e farne un lavoro redditizio 
e funzionale. 
Noto subito che a Inhambane manca ancora quasi tutto 
nonostante sia ricca di tutto.  
A livello naturale è al top: cazzo è un Paradiso. 

Inhmbane è importante per la storia del Mozambico, 
è importante per la storia in generale, 
specialmente da quando Vasco da Gama c’è venuto a gettare l’ancora. 

Me lo immagino, dopo mesi di navigazione, 
fermarsi in una baia così silenziosa e stupenda. 
Essere accolto da questa boa gente, essere rapito da uno sguardo. 
Poi di colpo: la confusione e la prepotenza 
che caratterizzano la storia dell’uomo, 
sbarcano anche i colonizzatori. 
Di conseguenza il rigurgito, la lotta per l’indipendenza, 
il ruggito per la vittoria e proprio a Tofo è che Samora 
riunisce il primo Governo Mozambicano 
e viene scritta la Costituzione. 
Quella sala, proprietà delle Ferrovie dello Stato, 
oggi è una Galleria d’Arte. C’incontro opere e amici artisti. 

In città (I’Bane) ci sono sicuramente altre attrazioni interessanti 
oltre al bar-risorante gestito da un’italiano, 
un altro bar con musica ao vivo, il Cinema Cine Tofo, 
la Casa da Cultura, il Museo, ok e poi? 
Manca un ArtCasa come quella che aprì io a Lisbona 
con altri 7 incredibili Soci. 
Perfetto, se manca qualcosa significa che c’è spazio e opportunità. 
Devo trovare il modo 
di creare un legame con quest’angolo di Paradiso 
e la Cultura legata al Turismo può essere un’ottima carta. 
Curiosamente in Moz il Ministero della Cultura e del Turismo 
sono fusi assieme come un Super Sayan, 
di colpo mi sembra un vantaggio. 
Ho idee, sono capace di creare un progetto 
e con l’Università nella Capitale 
posso facilmente arrivare ad un Ministero 
per presentare un Sr. Progetto per uno sviluppo funzionale 
che dia da mangiare a chi vive a Inhambane, creare occupazione 
e dinamizzare la cultura. Inhambane è piena di giovani 
anche perchè è la capitale della Provincia di Inhambane 
(68'775 km quadrati) e ospita varie scuole 
e l’Universitá di Hotelaria e Turismo = giovani studenti 
da tutto il Moz. 
È un posto stupendo, punto. 
Nella mia testa: 
il Dipartimento dei Castelli per aria inizia a fare appalti. 


Round 3. 


Il giorno 3, teoricamente, è per tornare a Maputo 
ma non ci riesco, resto. 

L’importante è che il giorno 8 io stia nel mio ufficio a lavorare, 
ma fino a quel giorno sono libero. 
Il gruppo torna a Maputo, io resto con l’organizzatore del viaggio: 
Edson. 
Dobbiamo parlare bene, anche solo aiutare Edson 
a sviluppare il suo progetto MCA di Moz Camping Adventures 
è un’ottima maniera per viaggiare, fare contatti, esperienze 
e conoscere il Mozambico coi Mozambicani. 
Il giorno 4 sono già a passeggio da solo, mi sento a casa. 
Vado al mercato a fare compere, 
a scegliermi i pomodori per il sugo, 
le cipolle per il soffritto, il pescello bello, i gamberoni, 
c’ho tutto? Mi scordo qualcosa, torno indietro al mercato, 
ero appena uscito, questione di venti metri, 
sento che dovevo tornarci. Arrivo alla bancarella, 
trovo quello che avevo dimenticato dalla lista e poi, 
guardando verso le bancarelle degli artigiani, 
riconosco un amico artista di profilo < ! > 
non mi sembra vero che sia lui, 
non aveva in programma di venire a Inhambane... 
Mi avvicino incredulo e “Victor!? E sì che sei tu!”. 
Gioia e tripudio nel mercato, ci abbracciamo, 
sono mesi che non ci vediamo. Victor Mutepa, 
Artista plastico da Matola, un grande incontro. 
Un grande amico. 
Come uomini ci intendiamo perfettamente, 
siamo molto in linea su vari principi e valori, 
sulla convinzione di voler e poter vivere come Artisti, 
sull’importanza di Comunicare, 
sull’urgenza di Riciclare e di Educare a come trattare i rifiuti, 
un problema di tutti per tutti, anche qui in Paradiso. 
Ci siamo conosciuti desde o início da minha esperienza a Maputo 
nel Dipartimento Culturale all’Università Politécnica. 
Mito, suo nipote, partecipa al corso di Teatro nell’Università 
e ci ha fatto conoscere. 

Stiamo (a rilento ma stiamo) realizzando lo spettacolo teatrale 
sull’isola di plastica, a “ilha de plastico” 
per sensibilizzare o pessoal dell’esistenza di quest’isola maledetta 
che vaga come una morte nera nell’oceano Pacifico (Plastic Vortex). 

Per il momento abbiamo fatto un documentario-intervista su Victor 
e sul “Lixo que diventa Luxo” spiegando il suo lavoro d’artista 
che reinventa quello che buttiamo fuori di casa, 
“o lixo” la spazzatura, 
che torna in casa come opera d’arte, “o luxo”

Inoltre Victor ha delle vecchie cassette Hi8 
con un’intervista a Malangatana, il più grande (ex) 
Artista Mozambicano. 
Devo ancora trovare qualcuno che mi passi il video dal tape al digitale. 
È materiale inedito e di valore Culturale. 
Cazzo, quante cose ancora da fare, e ce la devo fare. 
Ammetto che volevo finire questo capitolo già oggi, 23 Aprile 2017, 
dia mundial do Livro. Ma sono stanco, mi bruciano gli occhi. 
Fumo una, mi vedo in streeming una puntata di Crozza 
e vado a nanna, niente Núcleo stanotte, non ne ho bisogno. 
Continuo domani, tanto la gioia di incontrare un amico 
sembra una festa eterna, quell’abbraccio è intenso ancora adesso 
a mesi di distanza, domani ricomincio da qui.  




[ II ] Pause. 

Anche Victor è stato subito contagiato dall’aria alla camomilla d’I'bane, 
anche lui si chiede “Com’è che ci resto qui? 
Safoda la city e la confusione.” 

Non abbiam bisogno di intro, 
siam così in linea col pensiero che stiamo già in pista 
ad escogitare qualcosa, qui ci dobbiamo restare 
e dobbiamo anche avere un lavoro per mangiare. 
Sfodero il mio classico Menù Combo “della casa” 
sempre pronto tra i miei pensieri 
come un format vincente, soprattutto se la butti sul sociale 
e sul “poche pretese con i possibili guadagni” 
perchè quello che conta è che te la vivi bene e zero stress. 
Propongo l’idea: aprire un’Associazione Culturale, 
trovare uno spazio per la sede, creare attività, corsi, iniziative, 
pubblicizzare bene il tutto, avere sempre in esposizione opere, 
sculture e altri trofei per i turisti e la per la loro fame di souvenir; 
interagire con la comunità locale, appoggiare e integrare 
le iniziative culturali locali, dinamizzare, fare rete con la Capitale, 
con l’estero e creare un nuovo centro culturale forte 
tra Beira e Maputo. 

Beira sta al centro del Moz. 
Ha festival e altre attività culturali forti na Beira, 
creare un altro punto di riferimento nel mezzo non è niente male, 
tra l’altro nella vicina Zavala c’è il 
Festival Internazionale della Timbilla, 
uno degli strumenti tipici della tradizione.moz, 
un festival che richiama musicisti e antropologi da tutto il mondo, 
un capitolo a parte, ma quale capitolo, un libro a parte, 
una Vita e una Dimensione tutta da assaporare, a piene mani... 
Africa, Mozambico... 

Un post su facebook di un piatto non ti da la stessa festa 
ed emozione in bocca, le papille gustative sono fatte per sentire 
e non per immaginare. Vai là per assaporare. 
Certo che si mangia bene anche in Africa. 
Il problema è che non è per tutti.
Qui in un bar decente con quattro tavolini all’ombra 
e una tv collegata al resto del mondo, trovi l’offerta allettante 
di una bella colazione all’inglese “a soli” 230 meticais 
(3,20 euro) 
ma chi cazzo ce li ha 230 meticais da spendere solo per la colazione? 
La maggior parte delle famiglie manco li spende 230 meticais 
per mangiare in una settimana. 
Ma non mi voglio (e non ti voglio) stressare agora 
a ricordare quanto è assurdo “il nostro” sistema, 
sto in Paradiso e ci voglio restare. 
È da un anno che sto in Moz, sono già terribilmente abituato 
a tutto e a niente. 
Ma dove cazzo c’è scritto che tanta gente 
debba proprio passarsela male male male? Mah. Grande Mah. 

In Italia la povertà aumenta e in Mozambico si lotta per uscirne. 

Ma lo vedi che è vero che la montagna sarà erosa 
fino ad essere una collina 
e che la valle diventerà una montagna? 
O com’era quella combo i-ching, 
sì insomma i grandi mutamenti, la ruota che gira, 
l’interpretazione filosofica 
(del mondo nelle sue varianti naturali e nelle dinamiche universali) 
della teoria che tutto si trasforma. 

Ma in una società folle quali sono i parametri e i punti di riferimento? 

Quando la più corrotta attività umana nel mondo 
era tipo un feudo medioevale disperso tra le colline 
o in una nebbiosa pianura, a quei tempi la nostra brutalità 
e il nostro impatto erano un triste privè 
che un’ondata improvvisa poteva cancellare. 

Poi si sono creati gli imperi e i danni cerebrali sono aumentati, 
l’arroganza pretendeva di essere scritta 
e incisa bene nella memoria collettiva, 
la storia era già vista come un’attrice da istruire 
per farla recitare a comando in futuro. 
Gli errori sono umani e si riconoscono proprio perchè 
non hanno la minima percezione che in futuro 
le cose sono sempre differenti e appaiono incognite e imprevisti 
che erano fuori da qualsiasi radar, 
per quanto tutto possa essere già scritto 
esiste un momento preciso nel tempo e nello spazio 
in cui una cosa “succede” trasformando la realtà 
da come la si percepiva prima a come la vedrai dopo il botto. 

Pensa ad un’esplosione. 

Le geo-politiche di oggi hanno un impatto su tutto, 
dalle risorse idriche alle vie di comunicazione, 
dai consumi ai trasporti, 
movimentazioni complesse ed intrecciate su scala globale 
tante quanto le schegge di vetro di una finestra in frantumi, 
ma mettici pure le schegge di legno dei serramenti 
e qualche pezzo di intonaco, 
l’impatto è così forte che è già tanto che la casa sta ancora in piedi. 

Siamo in cappotto a 360 km/h, 
dimmi tu quale riferimenti posso riconoscere. 
È giá tanto se mi riconoscono “ammè” dopo un botto così. 

Mi ricorda l’incidente di Profeta 
e dell’amico suo alla Donnie Darko; 
li incontro una sera fuori dal pub, 
poi li rivedo la sera successiva con qualche livido in faccia. 
Loro sono sempre gli stessi bruciati del quartiere 
ma nel frattempo nella notte buia e tempestosa 
erano usciti da un triplo cappottamento carpiato con la macchina 
sulla A4, la Milano-Laghi appunto, 
in scivolata sul tettuccio per trecento metri, 
con scintille come fuochi d’artificio in faccia a Capodanno 
e minkia che danno! 

Ma loro niente, praticamente illesi 
e si vedeva che l’adrenalina li aveva fatti pure divertire di brutto, 
strafatti di vita. 

Anche l’umanità può “giocarsi il jolly” così? 
Entrare in un incidente globale e uscirne illesi e presi bene. 
Mah, sarebbe figo.
Ma non mi convince. 

Inhambane è un paradiso, 
ma se si alzano le acque di due metri sparisce tutto, 
rimangono le palme a mollo con la testa spettinata fuori. 

Minkia che scenario: in canoa, 
scivolando silenzioso tra centinaia di cespugli di cocco, 
punto di ritrovo di decine di chiassosi volatili. 
Le principali cittadine lungo la costa sommerse 
e cancellate da google earth. 
Per i villaggi rurali nell’interno 
sembrerebbe che non sia successo niente, 
rimarrebbe la stessa vita di sempre: 
zero elettricità e sporadici rifornimenti. 

Le zone interne africane sono già abituate a vivere 
senza che sia presente “il sistema” per come lo conosciamo, 
in un intreccio di distribuzione, partilha, 
condivisione d’informazioni, servizi e sistemi sempre a regime. 
Nada, solo “vediamo ogni giorno come facciamo”. 
Che la borsa di Wall Street esista o meno cambia poco, 
davvero.
Addestramento basico. 
Finchè il mondo è così bello bisogna goderselo, 
tipo poter respirare mentre sei ancora nella battaglia, 
è già un lusso. Non ti hanno ancora forato un polmone. 

La cotta, la maglia di ferro. Ma dove stavo? 

Terrazzo, nella casa dove siamo ospitati. 
Bevendo “sura” una bevanda tradizionale .
Sperimento con un goccio di whisky, ancora meglio. 
Dev’essere ben gelata tipo limoncello.
Dicono “faccia cose”, 
l’importante è che non mi facca strani effetti. 

Butto giù ricordandomi che la battaglia qui è con le proprie capacità, 
auto-sostentarsi il più possibile facendo quello che si ama, 
è già un fight every day nada mal

Interrogo Edson su cosa ci sia come “locale storico” a I'bane 
e mi parla del palazzo del Governatore, della Casa da Cultura, 
il Cine Teatro Tofo, casa Hoffmann 
e della chiesa portoghese che abbiamo visto da fuori, 
la torre con i quattro orologi 
fermi ciascuno ad un’ora diversa è il punto più alto della città, 
una volta l’accesso era aperto, 
poi per colpa di qualcuno non ci sale più nessuno.

“Ci voglio salire.” 

Mi parla della statua di Vasco da Gama, 
dettaglio che risulta anche nelle guide turistiche ufficiali 
ma non è attualmente esposta, è in un cortile in attesa di restauro. 





E parlando di cortili c’è il portico delle deportazioni, 
vicino al palazzetto dell’EDM, l’enel mozambicana. 
200 metri quadri di giardino incolto in pieno centro 
e una struttura tipo uffici e magazzino in disuso 
occupata dai materiali della società dell’acqua, la FIPAG. 
Nota bene: locale storico abbandonato. 
Quando la Cultura non è una priorità, 
anche il locale storico viene occupato per ben altre necessità. 






A proposito di necessità, ma perchè Victor sta qua? 
Con Victor in conversa, mi spiega che sta a Inhambane 
perchè il padre di un amico sta morendo 
ed era venuto a dargli un ultimo saluto. 
Prendiamo sul serio 
l’idea di creare qualcosa di buono e funzionale a Inhambane. 
Il figlio dell’amico malato è di Inhambane, 
ha un contatto nel Municipio, perfetto, 
chiudiamo la serata combinando una visita al Municipio 
il giorno successivo. 

L’obiettivo è fare contatti con “chi manda” 
e informarsi se la Camera Municipal ha spazi/luoghi storici in disuso 
dove un’Associazione potrebbe installarsi 
per recuperare lo spazio e rianimarlo. 

Mi sveglio il giorno dopo con il sorriso in faccia, 
sono al 5º giorno del nuovo anno 
e mi ritrovo dall’altra parte del mondo a fare le stesse cose 
che facevo per la mia associazione culturale in Italia, 
il “5º Livello” con entusiasmo rinnovato, 
con un’esperienza come armatura, 
ultra-stimolato dal nuovo scenario. 

Scenario espresso.  

“Ma neanche Photoshop” 
pensai una volta strabigliato dai toni e dai riflessi di un tramonto 
in una baia silenziosa d’Inhambane dove sorpresi Dio a riposare, 
dalla fretta di nascondersi aveva lasciato la tavolozza 
con tutti i colori. Uno spettacolo buono e giusto. 
L’ho ringraziato tante volte, felice per tutto questo. 

Felice che almeno Victor è di parola, 
ci troviamo in piazza all’ora convenuta 
e andiamo verso il Palazzo Municipale. 

Municipio. 

Un palazzotto di meringa bellissimo, 
devo tornarci e farci trecento foto, un evento, esposizioni, 
è una bomboniera che non può essere sacrificata solo all’istituzione. 
Ci vuole un artista in cortile libero di agire. 
All’entrata la guardia mi fa notare che non posso entrare 
perchè sto con i calzoncini corti e in un ufficio pubblico non si pò. 
Chiedo scusa facendo notare 
che sono solo uno straniero ignorante che lottava contro i 38º estivi.  
Spiegando che abbiamo un obiettivo preciso 
ci lascia sgattaiolare dentro dritti all’ufficio catasto 
dove lavora il nostro contatto. 
Entrando mi nascondo dietro a Victor 
e mi approssimo al bancone rapido 
per non mostrare le gambe rosso gamberone 
classiche del turista occidentale arrostito al sole. 

Se ero calabrese e m’abbronzavo 
“ero scuro come a loro” in mezza giornata, 
ma sono stato allevato in terra padana 
e prima di una bella abbronzatura beije da biscotto cotto, 
devo prima passare varie tonalità di arancione e rosso gamberone. 
Poi io ho fatto pure il figo e alla prima giornata in spiaggia 
zero crema, risultato un semaforo rosso lampeggiante, 
pelle rossa, infatti sono un cavallo pazzo, 
di notte mi riconoscevano senza problemi. 
Qui al catasto invece non ci conosce nessuno, 
quindi il consiglio è presentarsi all’ufficio 
che dirige le attività culturali e turistiche, perfetto. 
È vicino, dieci minuti a piedi. 

Pausa mata bicho al bar Verdinho, 
quello gestito da un fratello d’Italia. 
Fanno un toast con la pancetta 
che è una bomba energetica perfetta, 
ci si scola una birra fresca e grazie a Dio il caffè è buono. 
“Non si può fare di meglio con quest’acqua del cazzo” 
lamenta Antonio il proprietario, 
ma a me già sembra un capolavoro di caffè 
calcolando quanto siamo lontani dalla civiltà dei grandi consumi. 
C’ha pure la cremuccia. 

Arriviamo all’ufficio giusto, 
uno dei posti più tranquilli dove lavorare, 
gli impiegati non riescono a nascondere nello sguardo la sorpresa 
per l’arrivo di un fulano e di un bianco interessati a qualcosa. 

Ussene, un simpatico signore, 
trova finalmente l’opportunità di poter raccontare 
tutto quello che sa su Inhambane, è felicissimo 
e noi siamo curiosi e pronti. 

“Sono felice come Indiana Jones quando trova una mappa del tesoro.” 

Vado diretto al punto: 
cerchiamo uno spazio storico, di proprietà del Municipio, 
per recuperarlo e farci la sede di un’associazione culturale 
che possa investire tempo e capacità 
per dinamizzare la scena culturale e turistica a Inhambane, 
ordunque, avete posti idonei per questa rivoluzione socio-culturale 
a propulsione italo-mozambicana? 
Risposta: Sì (BENE) 
e scatta l’elenco Cine Tofo, Casa della Cultura, 
patio delle deportazioni e l’antica chiesa portoghese. 
“Quella della torre?” chiedo io pronto ad incalzare con il domandone 
“ci possiamo salire sulla torre?” e yes, we can! 

Ci sono tante cose storiche a Inhambane, 
Ussene ci propone di andare da un amico suo che può aiutarci 
a scoprire molto di più, tanto è tutto vicino 
in questo posticino tipo Paradiso tascabile. 
Edizioni “IL BRADIPO”. 
Bradipi lo sembriamo noi a passeggiare a rallentatore 
per il gran calore. 
Passi epici manco stessimo scrivendo una pag... No, aspetta, 
la stiamo scrivendo sì una nuova pagina di storia, 
erano anni che un impiegato del Comune non alzava il culo 
per fare il suo lavoro. Era proprio il momento 
per aprire porte che erano rimaste chiuse da tempo, 
cose dimenticate. 
Arriviamo al cortile dove hanno parcheggiato Vasco da Gama.
Che uomo. Che pioniere. Bella statua.  Devono restaurarla. 

518 anni dopo stanno ancora parlando di te, bro

Doverosa, non ora, ma doverosa lettura: la storia di Vasco da Gama. 
Googolata e un galeone di Storia. 

Scusa se ti do lo sbatti del search in google, 
altrimenti questo post finisce per essere lungo come un vangelo. 

Andiamo da Fausto 
(si, metà popolazione Mozambicana ha nomi italianissimi, 
amori miei: Sofia, Maria, Laura, Paola, Gina, Rosa, 
Fiona, Jessica, Salva, non sono tradotti, sono proprio così. 
Poi c’é il capitolo “Curiose Varianti” tipo: 
Yolanda, Get, Yurca, Luzneidy, Lolizzy, Monika, Pyka, 
Pyka!!?? Quitéria e tanti altri...) 
e Fausto è il Personaggio che dovevo incontrare. 

Capisco che ha un’attività, 
sta in un cortile e ha un capannone tipo meccanico 
ma non vedo macchine a parte la sua 
che è praticamente un carro-attrezzi e c’ha pure un nome: Felisbela. 
Strabella. 



Ma non vedo attrezzi, vedo un bancone vecchio e consumato 
e cartelloni pubblicitari contro una parete. 
C’ho messo due giorni a capire che fa il grafico. 
Ma la confusione non è dovuta solo al calore e alla mia fusione, 
è che m’han portato qui perchè Fausto sta riparando 
una vacchia Ford degli anni ’20, 
regalo di Samora al primo Governatore della Provincia di Inhambane. 
Che stile. Tornerà a funzionare. Vedremo. 



Inoltre Fausto conosce bene la storia di Inhambane e dintorni. 
Fausto è un cittadino informato, ama la sua terra 
e ispirato dal momento ci propone di andare a vedere un posto 
poco frequentato e quasi sconosciuto, 
l’antica polveriera portoghese vicino alla spiaggia 
nella parte più interna della Baia di Inhambane. 
Un’insenatura ben celata 
dove anche l’acqua dell’Oceano Indiano 
sembra un laghetto tranquillo per esercitarsi con la barchetta a vela. 



Preso bene dalla disponibilità chiedo 10 minuti di tempo 
per correre a casa a prendere la macchina fotografica. 
Corro felice verso casa, 
non correvo così da quasi un anno quando a Lisbona 
stavo perdendo il volo per 
Istanbul/cambio/Johannesburg/pit stop/Maputo. 
Mentro irrompo in casa 
spiego correndo a Edson cosa sta succedendo, lui è occupato, 
neanche avevo considerato l’opzione di perdere altro tempo, 
torno correndo, salto a bordo con Victor e Ki, il figlio di Fausto, 
nel cassone del carro-attrezzi 
che in effetti non ha più il braccio e il gancio per rimorchiare le auto. 
Fausto alla guida di FELISBELA e Ussene al suo fianco. 
Uno Spiderino Mozambicano. 

“Come ti chiami?” chiedo al figlio di Fausto. 
“Ki” risponde lui. 
“Come chi? Tu, come ti chiami?” poi ho capito. 

Con questo caldo tropicale non c’è niente di meglio 
di un giro in macchina lungo mare, svaccato nel cassone a filmare 
(devo ancora editare) a prendere aria fresca, 
felice come un labrador. 
Manca la bocca aperta e la lingua a prosciutto cotto tutta fuori. 



Até passiamo l’ospedale, 
poi poco più avanti parcheggiamo a destra in un piazzale. 
Ci inoltriamo in un bairro, sentiero pulito, 
qui tutto è molto più ordinato e ben conservato 
rispetto ai “lamieroni” 
dell’arrugginita e accartocciata periferia di Maputo. 
La città fa male, è proprio un modello insostenibile. 
Aldeie allargate, questa è la mia visione di futuro, 
basta città, 
più paesi meglio organizzati che metropoli corrazzate, 
formicai con ascensori. 
Ascensori che tra l’altro a Maputo manco funzionano.  
E se funzionano fermano solo al 3º, al 7º e al 10º. 
Robe così. 
“Una città senza manutenzione” che surrealismo il moz. 
E dove non arriva la manutenzione ci arriva l’invenzione. 
“L’arrangiata.” 
A parte dove ci sono i bianchi ed i soldoni, 
lì invece c’è tutto, pure il di troppo, purtroppo. 
Dobbiamo stressarci meno, dobbiamo inquinare meno. 

Intanto le gambe vanno, 
entriamo letteralmente nel cortile di qualcuno, 
poi di colpo la vedo: la paiola

La polveriera portoghese, un magazzino fortificato, 
mura a prova di cannone ma nel dubbio 
anche un percorso sotterraneo di sicurezza 
per tagliare la corda in caso di sbarco nemico 
per evitare un inutile assedio. 
Dentro è il classico posto abbandonato da tempo: 
quasi tutto annerito a causa di un’incendio, 
tetto mezzo pericolante, graffiti di sette e di clan rap 
che minacciano di dominare il mondo, 
sicuramente c’è morto qualcuno, 
sicuramente c’hanno vissuto decine di persone, 
sicuramente potrebbe essere recuperato 
ed essere un punto di passaggio per i visitatori. 
Faccio un giro attorno alla paiola, ben nascosta tra le palme, 
la spiaggetta è a trenta metri, 
se l’acqua si alza arriva quasi a bagnare le mura fortificate. 
Ripercorrendo il sentiero Fausto ci mostra altri dettagli. 
Rientriamo nel cassone e si torna verso il centro, 
lungo la strada mi mostrano il Portico delle deportazioni. 
Un fazzoletto di terra verdissimo e incolto, 
un edificio bianco, basso, anonimo. 






Centralissimo, di fronte ha le fermate degli chapa
a 50 metri c’è il Clube Ferroviario che è uno dei posti migliori 
dove far festa e a 100 metri il porto 
dove si prende il battello per attraversare la baia 
e andare a Maxixe. (Mashish’

Rimaniamo d’accordo che il giorno dopo si va alla torre 
e al burraco dos assassinados. 


Round 4. 


Colazione abbondante e poi finalmene alla torre! 
Si aprono le porte. 

La chiesetta portoghese è una vecchia bomboniera di legno, 
lo stesso legno con cui poteva essere fatto un galeone 
e il marcio umido avanza in certi punti. 

Uno scheletro di ferro di una barca lasciato ai piedi dell'altare 
mi suggerisce un'istallazione dove tutto il pavimento 
è sommerso nell'acqua limpida e nel mezzo 
lo scheletro della barca 
e vicino un tronco di legno grande uguale. 








La fonte battesimale divisa in due, 
da una parte si battezzavano i bimbi bianchi, 
dall’altra i bimbi negri. 
Ma tu pensa che rincoglioniti nel passato ad essere razzisti. 
Che vergogna. 
La scaletta per salire in cima è così arrugginita 
che potrebbe sgretolarsi come un cracker. 
Mi tengo il misto di dubbio e paura fino all’ultimo piano 
dove finalmente ci godiamo la vista che ci aspettavamo. 













Altro dettaglio interessante è il meccanismo 
che azionava i quattro orologi della torre. 
Ciascuno parò ad un’ora differente. 
Chissà se capitò nello stesso giorno 
o in epoche differenti. 
Mi ha ispirato per vari racconti 
legati a quello che è successo nell’ultimo minuto 
in cui cada orologio ha funzionato. 

L’rologio a sud segna le 10:12; 
a ovest le 04:54; 
a nord le 05:00 
e a est le 05:15. 

Mi ricorda un orario ben impresso nella mia memoria, 
il “minuto fantasma” o "l'ora fantasma" 
quando le lancette si sovrappongono per un minuto, 
in realtà meno perchè nei 60 secondi che scandiscono un minuto 
la lancetta si muove, seppur in maniera poco percettibile... 

“Eppur si muove”

Ma esistono 24 istanti giornalieri 
in cui le lancette si sovrappongono 
e appaiono come un’unica linea a tentar tracciare la distanza 
tra il centro e l’area del cerchio. 

Nella mia epoca Milanese, 
tornando a piedi verso la Stazione Garibaldi 
per il primo treno del mattino, 
passai per una Piazza Duomo deserta, 
m’incamminai lungo la traettoria di Cordusio e Cairoli. 
Ero così preso nei miei pensieri e così stanco 
che guardavo solo dove mettevo i piedi, uno dietro l’altro, 
sempre più vicino alla méta. 
Spunto in Piazza Cordusio dalla Via dei Mercanti. 
Non capita spesso di avere la città tutta a disposizione, 
il silenzio domina tanto la scena 
che mentre passo davanti all’ufficio dell’unicredit, 
riesco a sentire il “tlack” della lancetta dei minuti, 
guardo verso l’orologio collocato in cima all’entrata principale. 
Segna le 4e20. 
Silenzio. 
Penso “il minuto fatasma, eccolo qua”. 
Scruto la piazza, 
di giorno è sempre così congestionata che sembra irriconoscibile. 
Mentre mi godo i dettagli dei palazzi sento un rumore indefinito
 aumentare rapidamente ma le strade sono deserte. 
“Oddio mò scoppia qualcosa” 
il rumore aumenta sempre più ed ecco a sorpresa 
un grande stormo di piccioni passare in gruppo 
alla massima velocità possibile da Via Dante a Via Orefici. 
Curioso, non avevo mai visto una competizione aerea di piccioni. 
Ma eccoli arrivare da Piazza Duomo, compatti e velocissimi, 
imboccano la Dante e sfrecciano fino al Castello. 
Rimango ad osservare la statua del Parini 
aspettandomi un commento suo, 
siamo gli unici testimoni di questi giochi aerei notturni. 
Lo stormo torna ancor più rapido, 
s’incanalano nella Via Orefici 
e tornano dalla Via dei Mercanti lanciati vero il Castello. 
La città è tutta loro e giustamente si divertono. 

Qui a I’bane piccioni non ce ne sono, 
ci sono corvi e fenicotteri rosa. 

Epah, andare dietro alle tracce del tempo 
e ai fatti storici che si sono susseguiti 
in una danza che non si ferma mai 
è sempre interessante, anche se a Inhambane 
molti fatti storici dell’incontro tra le due civiltà 
sono intinti nel sangue di migliaia di innocenti. 
Non si ha idea di quanti uomini, donne e bambini 
furono allineati nel portico delle deportazioni 
per poi essere stivati nei galeoni che partivano per le Americhe. 
Che viaggi, che imprese, che pretese. 
Che miscugli di dna fino ai popoli che oggi 
popolano le varie nazioni del continente Americano. 
E non solo. 
Ci sono altri dettagli e storie da raccogliere lungo il cammino, 
l’emozione forte rimane osservare la sala dove 42 anni fa 
Samora e il 1º Governo Mozambicano scrissero e riconobbero 
la loro Costituzione. 

Tutto l’operato di Samora merita una “googolata” approfondita. 

Alla fine Samora Machel era un Che Guevara africano 
ma a differenza del Che, 
Samora era riuscito a governare il suo paese 
fino all’incidente aereo che lo fece prematuramente scomparire. 
Ancora adesso è rispettato e rimpianto. 
Ma con la sua scomparsa è scivolato via l’entusiasmo 
ed è iniziato il “corri corri” per vendere tutto il possibile 
al miglior acquirente. 
Ecco come si arriva alla “divida oculta” 
e ai problemi di corruzione statale ad ogni livello, 
dal poliziotto che ti ferma per strada al più alto dirigente. 

Tutto il mondo è paese. 

Peccato, ci sono davvero dei vantaggi 
ad avere una Costituzione fresca fresca 
che non ha passato neanche il suo primo quarto di secolo, 
“a luta continua” a sério e la fortuna per il Moz 
è una nuova generazione interessata ai Diritti, 
alla libera informazione e a difendersi il proprio futuro, 
difficile o meno che sia. Qui è tutto difficile, o quasi... 

Quello che per me è facile è approfittare di anni di scuola, 
di quella infarinatura base che la scuola italiana m’ha garantito 
rendendomi già un eletto, un essere fortunato ed illuminato 
che “sa cose” e mi ritrovo dopo anni 
ad apprezzare l’Arte e i suoi protagonisti da un posto in prima fila. 

Oltre ad un’immersione dettagliata nella storia di Inhambane 
ho già collezionato altre grandi soddisfazioni. 
Grazie ad una recente collaborazione 
con un’investigatrice portoghese dell’Università do Minho, 
l’ho accompagnata in lungo e in largo per filmare un nuovo inedito 
documentario sulla vita di Malangatana, 
il più grande ex-artista mozambicano 










e anche in casa Chissano, 
altro grande Maestro. 











Ci siamo inoltrati anche nel Bairro do Aeroporto 
lungo le tracce degli scultori. 

Amare la Cultura e viverla appieno senza essere un turista 
è una soddisfazione. 

Gli Artisti che rappresentano il proprio paese o il proprio stile, 
lasciano una carga creativa che non affievolisce col tempo, 
non prendono polvere. 

La creatività rimane nell’aria, nei luoghi, 
tra le pennellate e i solchi scavati nel legno, 
tra le pareti o tra gli alberi curvi e ritorti dal tempo. 

È un’energia che alimenta lo spirito, 
che da forza per continuare a creare e a lottare. 

Anche perchè nessuno di questi grandi Artisti 
era dissociato dal contesto sociale, erano tutti attivi, 
a modo loro, per incamminare il proprio popolo 
verso una nuova concezione del vivere. 

Far pensare, far aprire gli occhi, spalancarli per bene, 
come se dovessimo urlare o cantare attraverso 
questo specchio della nostra anima. 

Sto incontrando quello che sognavo, 
ho fatto bene a credere nei libri. 

Ho fatto bene a credere nella bellezza, nell’arte 
come ponte fra le sponde di civiltà tanto diverse. 
Ho fatto bene a credere nel dialogo creativo 
in cui ci riconosciamo tutti, quando la priorità  è creare, 
fare ciò che amiamo e lottare per realizzare qualcosa di sempre nuovo. 
Che ci sia un seme nostro nel dna di un futuro migliore, 
a qualunque costo, contro ogni arrogante previsione di guadagno. 

Non sarà una manovra economica a salvarci 
ma un gesto d’amore. 

Finchè gli alberi ci daranno frutta così dolce e succosa, 
finchè i libri avranno storie per farci emozionare 
e per farci viaggiare oltre le nostre teste, 
oltre le quattro pareti delle nostre stanze, delle nostre aule, 
dalle nostre silenti biblioteche, oltre la siepe di Leopardi 
e oltre quello che la vista ci consente dalla nostra finestra, 
finchè ci sarà da esplorare, da vivere e da capire, ne varrà la pena. 

Sempre. 

Avanti tutta! 





Fine del Capitolo 4. 


< Kanimambo! > 

(Grazie!) 






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