Capitolo 2. Da 2 mesi a Maputo.
Proprio
quando stavo per mandare a fare in culo tutto l’emisfero Sud del Pianeta,
pinguini compresi,
ecco che arriva la svolta: trovo lavoro, ma
non uno qualsiasi,
trovo il mio lavoro.
LAVORO: Opportunità in via d’estinzione.
E io son dovuto arrivare fin qui per trovare il mio job, spettacolo, che giri la
vita.
Cos’ho trovato? Un lavoro con la Cultura, a
contatto con chi fa il gruppo di Teatro, di Capoeira, di danza tradizionale,
moderna e hip hop, e tanti altri Dipartimenti tutti da scoprire. C’è un
ufficio, una sala per gli eventi con un palco, una timbilla, due congas, un
tamburo e una bella batteria , una sala regia e c’è pure l’angolo bar. Cazzo
voglio di più? (Eh, aspetta qualche mese e te lo spiego) E in cima c’é la
Radio, messa bene, bem organizada e toda equipada, toda todinha. Fantastico,
una nave ammiraglia per la Cultura, tutta ben equipaggiata e pronta a solcare i
mari della Creatività senza frontiere. Cannoneggiamento libero, messaggi e
azioni di sabotaggio contro ignoranza, noia e apatia.
Botta de vita, eccomi qui!
Un posto di lavoro dove posso scatenare le mie
idee. Bene, peccato che sono già entrato nel vortice di lavorare 10, 12 ore al
giorno da quanto sono appassionato. Non esistono straordinari, é proprio
piacere di stare curvo sulla programmazione del mese, sulle mail, sui contatti
da fare, sui contatti fatti, sui conti ancora non fatti. E posso scrivere e
creare.
Algo criativo, algo che tens a ver con la
collaborazione tra persone, attività Culturali e quasi tutto quello che ho
appreso desde quando vivevo in Italia e sperimentavo con l’Associazione
Culturale “5º Livello”. Ogni evento, ogni iniziativa è stata la mia scuola, la
mia esperienza, la mia sabedoria portatile.
Quanto darei agora per un bel bicchiere di
Porto, per accompagnare questo racconto.
Per avvinazzare un poco la purezza di questa
“voglia di scrivere” sbocciata nel corso della giornata, in un’assolata tarde a
Maputo, Bairro Central, mais ou menos as 15h.
E perdonate questo free-style tra italiano e
portoghese misturado, mas é assim pah.
Prima di mettermi “in tastiera” come dire “in posizione” ho
riletto il mio primo capitolo postato in Dicembre 2015; i miei primi giorni
africani, le mie notti insonni e produttive, la sensazione di sentire l’odore
di quella prima casa semplicemente pensandola, rivedendola nella sua struttura
ampia, con le pareti pittate di fresco con tonalità pastello, i dettagli delle
zanzariere, la cucina, i vari posti in casa dove ho dormito e dove ho sentito
anche una storia d’amore esalare i suoi ultimi sospiri, il suo ultimo ansimare
felice, un’altra storia già archiviata.
Di quel primo post correggo che il lanho non è il fratello del cocco, è
próprio il cocco ma giovane, verde, grande il doppio e la sua acqua è
straordinaria. Insomma col tempo se
stringe e la pappetta bianca all’interno si consolida fino a diventare
quella fetta dura e saborosa in spiaggia con Coccobellooo!
Coccooo,
Coccobellooo!
Qui manco si scomodano a gridare, basta un
fischio, un sibilo, un cenno, una vocale.
Confermo che il Mozambico è un paese per
ricchi, ou seja è un paese dove è
meglio essere ricchi e farò di tutto (non è vero) per cercare di avvicinarmi al
boccino bianco, perchè qui coi soldi ce la si passa stra-bene. Per fare i
poveri e stare bene comunque bisogna andare in Europa. È vero, la mia Europa anche da povero non è niente
male. I fatti lo dimostrano, solo in Europa è un lusso anche essere poveri.
Fuori no, fuori sono fatti tuoi a sério.
Dal centro, dal nord Africa e dal Medio Oriente scappano in Europa, incalzati
dalla guerra, dalle barbarie e dalla miseria. Qui a Sud tutto stò burdell
non c’è, e sono così distanti dall’Europa che avran pensato bene che era più
pratico farcela con "quello che passa il convento" piuttosto che tentare una
traversata così grande. Non esiste Mozambicano che creda sia possibile
attraversare il continente via terra. Troppi ostacoli, troppa Natura selvaggia,
troppi uomini nel mezzo (la cosa più pericolosa). Dentro o fuori, senza Aribus.
E quel palazzo alto e scafuddato che pareva
abbandonato? Chi c’è andato a vivere?
Mio cognato.
Fogo, mi ricordo adesso che non ho ancora mai
scattato foto da lì in cima.
Foto. E Video. Foto e Video.
Faccio súbito le mie scuse per non aver ancora
postato foto e vídeo ma sono un bocado parado, soffro la mancanza di un
programma per editar foto e vídeo e non ho ancora un fantástico “Dipartimento
Video” a disposizione, dannazione!
Non ancora… Ma in 5 giorni con altri due
super giovani abbiam fatto questo:
Cidade Criativa – Vitamina C
Perchè: “La
Creatività è come la Vitamina C, non può mancare!”
La mia prima collaborazione creativa a Maputo,
che emozione.
Ero preoccupato su come presentarmi, su cosa
mostrare di mio, d’altronde qui ci sono arrivato solo con uno zaino in
spalla... Então, pensato, fatto e realizzato!
O meglio, nel giusto ordine: fatto, pensato e realizzato! ;)
Nada mal, ma i prossimi vídeo dovranno essere ainda
melhor.
Mi serve un Dipartimento Vídeo!
Ammetto che sono ammanettato e tutto è ancora
“imprigionato” e bem guardado nella scheda di memoria. Ne ho già tre, no, ne
avevo tre, una è sparita dandomi una tristeza profonda quanto una lamata, è
stato un colpo duro. Bastardo/i ma come puoi/potete rubare una scheda di
memoria? Sapendo che il contenuto è inestimabile per il proprietário!
Grandissimo/i figlio/i di una puttana
brutta e ignorante, cafona e fetente, culona come un elefante, capra e
deficiente, ottusa e puzzolente.
Karma Killer pensaci tu!
E non vi dico cosa c’era su quella scheda di
memoria rubata, o siete i primi a passarmi una lametta per tagliarmi le vene e
farla finita, subito, senza manco l’ultima fumata.
Tornando alle mie mancanze, zero computer,zero
internet, zero “zeraglia” per bem due mesi, senza fiatare, completamente rassegnato
dal chattare o dal postare, dal messaggiare o scrollare la página.
Siamo già nell’era digitale con le nostre
memorie di dati, perse o rubate.
Anime al plasma e la Coscienza la trovi alla
pagina 777 del televideo. Amen.
Ho recuperato il contatto con “il quotidiano
reale che solo qui accade” e mi sono distratto a fare altro, ricordandomi che
sono di quella generazione cresciuta senza cellulare, grazie a Dio.
Una volta ci si chiedeva a che età ti eri sverginato, adesso c’è da chiedersi
quando il cellulare è entrato nella tua vita. Il mio primo Nokia è apparso nel
1999, avevo 18 anni compiuti, almeno ero maggiorenne. Mia madre insistì per
regalarmene uno, per controllarmi, e
anche perché ero sempre lontano per la naja. Ricordo che mi sentii a disagio:
“Oh no, adesso sono come gli altri, anche io schiavo di questo coso!” Lo
odiavo, lo odio ancora ma nel frattempo quante situazioni che ha aiutato a
creare, quanti sms che hanno fatto la differenza, quante idee, quanto! E sono
diventato un Professionista dei messaggini amorosi, con 160 caratteri posso
conquistare una donna, sono pericolosissimo.
Ho avuto anche un’idea per un racconto basata
su quello che può succedere a ricevere una sim in regalo da uno che ha finito
il suo erasmus a Lisbona, una sim ancora attiva e qualcuno ha ancora quel
numero... “Revolver Lx” mi auguro di
pubblicarlo presto. Quindi, se faccio come con il mio primo libro, passeranno
16 anni prima che lo pubblico.
Correggo anche che lo chapa (sciapa) costa 9 meticais se vai verso la
Costa do Sol,
“Vamos a la playa, oh-ohoh ohooh” altrimenti la tratta interna Museo
– Zimpeto
costa solo 7 meticais.
Ho visto l’euro salire vertiginosamente in un
mese, da 58 meticais per un euro, a 68!
Che botto.
O Tuk-tuk a Maputo è o txopela (t’ciopéla). Costo variabile. Trattasi
sempre di un’Ape car della Piaggio ma le copie fatte in Cina superano gli
originali.
E confermo che una qualsiasi città italiana,
la sera, è molto più pericolosa di Maputo.
Di colpo mi ritrovai già a passeggiare la
notte, anche da solo, una tranquillità e un silenzio degne di uno sciacallo a
caccia nella steppa. Mi sento un lupo grigio in città, le strade interne sono
tutte mie la notte, appena dopo le 22h buona notte mondo, ma ho messo un grande
“Mi Piace” su questa cosa di non essere disturbato da niente, potermi fondere
con la pellicola nera del film e assorbire tutti i dettagli di questa città, dettagli
silenti, toni gialli sfumati tra le sagome nere delle palme disegnate a china,
dettagli dei palazzoni illuminati, dei cieli notturni stellati, dei barboni
innocui sdraiati, dei gatti affamati, dei cani e i loro fastidiosi latrati,
degli incroci deserti con le puttane ai lati, puttane così brutte che dovrebbero
pagarti loro a te, visti i connotati.
Sto letteralmente passeggiando intorno ai
fatti, vado un attimo più al dunque e chiudiamo questo capitolo anche perchè
scalpito dallo scrivere il terzo. Una Domenica mattina mi sono svegliato e mi
son ritrovato da tre mesi a Maputo e il “premio” per il “giro più veloce” è
stato nettare e ambrósia per il mio palato.
Ma rieccomi qui, affamato e
squattrinato, barbuto e spettinato, perfettamente in forma.
All’ultimo istante.
Per prenotare il volo da Lisbona a Maputo, io
e family avevamo optato per un “Andata e
Ritorno” nello stesso mese, nell’arco di trenta giorni, conviene, “tanto poi al
massimo annulli la prenotazione qualche giorno prima e la riutilizzi entro un
anno” ed ecco che l’ipotetico volo di ritorno casca casualmente sul 31 di
Dicembre, partenza alla mattina e sbarco a Lisbona alle 18:30h = Capodanno com
gli Amici. E così è successo! Spettacolare. Alla fine quel volo di ritorno ho
dovuto usarlo per una questione di Visto
che l’Ambasciata Mozamba in Lisbona mi aveva gestito male. Un Carpe Diem
strepitoso. Mi ricordo solo adesso che
volendo potevo anche non tornare e starmene a Lisbona, ma sono qui, a Sud, poco
più in alto dell’Antartico, di fronte al Madagascar. In Africa.
Ma a Capodanno no, a Capodanno ero di nuovo a
Lisbona. Notevole.
Avendo giá affrontato il viaggione di 12 ore ero
più preparato per questo secondo giro di mega-traversata aerea dell’Africa e mi
son lanciato sui film e sugli album musicali, grande rivelazione un film:
Magnolia. Consiglio vivamente. E approfitto, non era sull’aereo ma rileggendo
il post aggiungo la sugestão cultural: o filme BIRDMAN. Q Cinema con la C
maiuscola, bravo Inharritu, bravi tutti, grazie.
Stanco dei film passo alla realtà, sto a
12mila, sotto ho solo un manto bianco di nuvole e il cielo è azzurrissimo.
Quando servono il pranzo riesco a fare un bis di vino e mi sento già per aria
sul serio. Dormo perdendo quota e penso che sto passando sopra tutta l’Africa e
sopra a tutta quella giungla ancora inesplorata. Sto volando sopra a tutto
quello che mi incuriosiva e che stimolava la mia fantasia, il mio richiamo
tribale, il mio trip diventato reale. Passo nuovamente l’equatore, ormai ci sto
prendendo gusto come saltare la corda.
La giungla tropicale è così estesa e umida che
è costantemente ricoperta di nubi in alta quota, riesco a vedere nuovamente
terra quando già è tutto deserto, sabbia,
sassi di vario calibro e tanta, ma tanta sabbia. Deserto, carovana,
beduino, magrebino, cous cous, babbuino,
sabbia e ancora sabbia, té bollente, altra sabbia ammucchiata fino a formare
delle colline e nel mezzo ci trovi oasi da miraggio, e vedo nuvole rosa in fuga
all’orizzonte come fossero un branco selvaggio.
Tu pensa passare una notte tra le dune, stelle
a brillare tanto da accecare, silenzio, una bava di vento che smuove la sabbia,
l’apparente nulla che contrasta ogni altra azione umana, il deserto. Assente,
ostile, avido di qualsiasi liquido fino all’ultima alla goccia. A proposito, ho
sete, pausa alcoolica, vado e torno. Nel deserto hai voglia a travarla la
baracca aperta con birrafresca, amici e bombetta in allegria.
Quando torno mi siedo in altro posto.
Rieccomi, scusate, nel frattempo c’é stato un
Sabato Sera buttato in una di quelle baracche, la “garaginha” dove una volta ho
pure ritrovato l’Amore, oltre che birra a volontà e poi gonfissimo a casa.
Domenica, fresco e riposato, ho pure fatto il
bucato.
Rieccomi in pista, anzi no, già sull’aereo,
sorvolando il Sahara...
Viaggio sopra tuuutto il continente Africano, intanto a Lisbona
la coppia di amici Francesco e Diletta aspettano la loro prima bimba
che salterà fuori giusto in tempo per certificare che anche lei,
come altri bebè di coppie di amici a Lisbona, nasce nel2015. Che annata!
Nel 2015 del gruppo Amici a Lisbona siam diventati Padri: io, Antonio, Carlos, l'amico dell'Aquila scampato al terremoto, cazzo mi sfugge il nome, scusami.. Giuseppe!
E non ricordo gli altri tre o quattro,oggi il caffè non ha ancora fatto effetto
o sarà l'altitudine...
Viaggio sopra tuuutto il continente Africano, intanto a Lisbona
la coppia di amici Francesco e Diletta aspettano la loro prima bimba
che salterà fuori giusto in tempo per certificare che anche lei,
come altri bebè di coppie di amici a Lisbona, nasce nel2015. Che annata!
Nel 2015 del gruppo Amici a Lisbona siam diventati Padri: io, Antonio, Carlos, l'amico dell'Aquila scampato al terremoto, cazzo mi sfugge il nome, scusami.. Giuseppe!
E non ricordo gli altri tre o quattro,oggi il caffè non ha ancora fatto effetto
o sarà l'altitudine...
Passeggio tra i corridoi, l’aereo è
praticamente vuoto, cambio posto e vado dall’altro lato, guardando verso Ovest.
Non potevo fare una scelta migliore, cambiare di posto. Il momento per il
tramonto é ancora lontano ma riesco ad approfittare di una buona visibilità
proprio quando sorvoliamo il Mediterraneo tra Africa e Europa, e rivedere il
mio continente, la costa spagnola e i colori del tramonto a infuocare il
paesaggio, quasi mi strappano una lacrima dall’emozione. Prendo le cuffie, apro
la cartella Musica e mi fiondo sulla Classica. L’orchestra pompa Bethooven a
tutto volume mentre torno al mio posto, nella mia Europa. Entrati in Portogallo
già da Sines inizio a godere di un’ottima visuale, Setubal e l’Arrabida e poi,
dopo un momento di foschia quasi a preparare lo spettacolo, eccola! Lisbonaaa! Cristo, ponte, Tejo, porto, gru,
case, la Basilica d’Estrela! O Castelu! Meravigliosa,
bellissima, tutta elegante, brilla con le prime luci ad accendersi sul ponte e
tra i bairri, tra le avenide e le rue, tra i tetti rossi e le cupole bianche, tra
i miradouri a macchie verdi e i tanti monumenti. Scalpito letteralmente
all’idea di avere questa seconda chance, rivedere Amici, vivere il Capodanno
come piace a me: senza limiti. E poter fare molte altre cose mentre in tutto il
mondo succede di tutto, certo come sempre, ma con molta più follia indotta nei
circuiti.
“Oh yeah!” dei Daft Punk in
loop, entusiasmo da stadio nel petto.
Uscire dall’aeroporto in proporzione fu quasi
più lungo del viaggio. Apanhei un taxi enorme, trattamento da v.i.p. e al destino
Campolide trovo Edgardo che se la ride ripetendo
“Ma non ci credo!” e neppure io
mi capacito, son passati più di venti giorni ma per amici che affrontano sempre
insieme il quotidiano venti giorni è un’epoca. Scattano gli abbracci, lasciare
le valigie (lí dove stanno ancora adesso mentre scrivo tre mesi dopo, dow!) e
si stappa la prima bottiglia di vino, si affettano salumi e formaggi e io tiro
fuori pacchi di cajú tostati che vanno come le ciliege. Resoconti a raffica da
ambo le parti su tutti i fronti.
E poi è Capodanno! Quindi, per Dio, che si fa?
Quali sono i progetti? Cardiello ha già un suo giro tra amici portoghesi per
celebrare “La Notte” mentre io e Ed raggiungiamo altri connazionali a Lapa,
nella storica abitazione di Leone, nella residenza Teleperfomance na Rua São
Felix, al 39. Lá dove una notte ho inventato “Lo Spritz sbagliato” (finalmente
l’ho pubblicato, che sia registrato) devastante creazione alcoolica scaturita
dall’aver finito il prosecco e aggiungendo invece un poco di Porto Bianco...
BA-BAM!
São Felix, per
Giove!
Teatro delle prime, primissime, feste in casa
tra colleghi del Gruppo BarclayCard; degenerando poi nella rua, giù a rotta di
collo fino a Santos alla piazzetta del Perola. Ma per me la mezzanotte a
Lisbona desde 2012/2013 è all’Adamastor tra fuochi e fiamme, tra cori e gioia
popolare internazionale, intercontinentale, mega putiferiale. Yeah! Tappa a
casa di Antonio Imperatore per baci e abbracci alla famiglia e bis di aneddoti
e cin cin a ripetizione, ne rollo anche una dopo tutto sto tempo e quasi mi
ribalto dallo svarione.
Di colpo mi passa la febbre da Capodanno, “mi
scende” la voglia di vivere il Veglione, mi si raffredda l’animo da festaiolo,
penso alla mia famiglia e mi sento solo e distante. Questo “raffreddore” mi
dura una settimana, mi curo con passeggiate, grandi mangiate, miradouri , canne
e cannoni, litrose e bifanoni, bistecche e pescioni, pernil e dobrada, salmão
ou dourada, e ogni tipo di zuppa è sempre adorata, ma certo, benvenuta cara,
prenda una sedia e s’aggiunga alla tavolata.
Mi riprendo in tempo per il primo weekend del
2016, in “famiglia” alla Pizza em
companhia a Santos con Andreas e Mino, Alfa, Gil, Isaac, dei ragazzi nuovi
da Andria a rinforzare la colonia Pugliese con taralli e vino, ovvio tutti
amici di Mino; e poi Tin, Antonio sempre e ovunque, Raffaello, no Raffello é in
Tailandia! Minchia, tutti sparpagliati: Gilli in Australia, Blake in Cambogia,
João in Brasile, e Marcello va a Como!? Mica scemo Marcello, manda tutti al
fronte e lui se ne sta comodo su quel ramo del lago di Como a stappare Martini
con George Clooney. Eh, la classe non è acqua!
E io? Ho davvero passato qualche momento di
incertezza sul tornare o no a Maputo.
Perche è dura, dura davvero.
La povertà di Lisbona è comunque un lusso
rispetto al suburbio. In Europa hai un minimo di assistenza, nel resto del
mondo no. Ecco per cosa dovremmo batterci, dovremmo lottare per avere politiche
più eco-logiche, più oneste e proiettate ad una verdadeira volontà di vivere un
futuro in un mondo vivo e non completamente avvelenato. Dovremmo batterci per
garantirci servizi statali funzionali e non farci comprare e privatizzare su tutto,
cedendo al privato anche se è solo un altro capitalista mascherato. I diritti come
li conosciamo in Europa, esistono quasi solo in Europa. Fuori: sono cazzi tuoi.
E celi stanno fottendo questi diritti! Oh,
guarda che quella del TTIP non è una sciocchezza, te devi informà! Te devi
incazzaaà!!! Oooh!
Iracond.
I confini. Le distanze. Le barriere. A partire
dai muri edificati nelle nostre teste per impedire di lasciar circolare libere
le idee.
Ma andiamo avanti.
A Lisbona posso solo lavorare in un call
center?
Con un pugno e mezzo di amici nel 2013 ho
aperto Art Casa e in meno di un anno è stato un bel successo, una grande
soddisfazione e un’esperienza non da poco. Essere uno spazio sociale con buoni
concerti, buona pizza e una porta aperta su Lisbona significa essere un porto
di approdo per: storie, comitive, coppie, assi, denari e bastoni, personaggi e
Personaggioni; Maestri, giocolieri, mangiafuoco, chitarristi di Samba e di
Fado, di Taranta e di Bossa Nova, parenti di Re, figli di Apollo, partigiani di
montagna, Parmigiano anche dalla Romagna, Principesse da vari atolli e isole e
tanti altri illustri da ogni parte di Mondo.
Approfitto per consigliare un link
ad un progetto che mi aspetta ancora dietro a questo click: http://simonefaresin.blogspot.com/2015/06/5000-soci-5000-storie-parte-1-di-5.html
5000 Soci, 5000 Storie.
Dopo nove mesi eravamo
arrivati a 5000 Soci e mi venne questa idea di scrivere dei racconti e poi
tradurli almeno in inglese e portoghese per partilhar con tutti quelli che
avevano visitato la casa. Siamo ancora solo alla versione italiana. Vabbè, tempistiche africane o Lisboete,
è la stessa cosa.
Incentrato su 5 Soci selezionati con
ispirazione tra i 5000 Soci e le 5000 Storie che sono entrate da quella porta e
che si sono raccontate, e io ero lí ad ascoltarle e ad amarle, non tutte,
claro. Ma una l’ho pure sposata, fai conto te!
Nel frattempo a Lisbona hanno aperto ottime
gelaterie, ristoranti, panetterie, quindi se c’è volontà e un piccolo
investimento ce la si fa. Tanto nessuno ha più garanzie sul futuro, l’ottimismo
o l’essere visionario e anticipatore, con questa crisi lunga quanto una
guerra, è un lusso per pochi
intelligenti e per pochi abbagliati come
me. Da non confondersi con illuminati,
please.
Io dopo un anno di doppio lavoro “ufficio di
giorno e Art Casa di notte” sono scoppiato, avevo davvero fatto il pieno di
Soddisfazioni & Emozioni, Vida Loca
etc etc. Così ho fatto famiglia e sono sparito da quello stesso percorso
quotidiano dall’ufficio all’Art Casa, con tappa “tramonto all’Adamastor” prima
di entrare in azione. Fogo, potrei piangere ripensando davvero a questi
momenti. Che fortuna immensa essere vivi e liberi, specialmente a Lisbona, dove
non ti caga il cazzo nessuno. E se
qualcuno ci provasse, uccidilo immediatamente.
Lisbona.
Finchè c’è Turismo, c’è speranza.
E mi viene in mente un film di Alberto Sordi
che ha un titolo simile...
Ma la Musica di quel film, quella Musica per me
è molto di più. Piero Piccioni ha composto qualcosa che per me racchiude tutte
le suggestioni e gli stereotipi della Roma degli anni ’50 e ’60, l’immaginario dell’Italia
genuina e in crescita,in vespa, come ne i vecchi film, la cultura e i costumi
di una volta; e una volta ritrovai tutto questo mentre me ne stavo su un pedalò
in Salento, a sudare e a pedalare al fianco di Valerio, fino a “parcheggiare”
vicino ad un bar edificato direttamente sull’acqua da dove stavano a bombare questo
disco tra un pezzo house e qualcos’altro. Ci fermammo là solo per andare dal Dj
e scoprire finalmente come ritrovare questa musica, con tanto di Autore e nome.
E ualà:
Finchè c’è Turismo, c’è speranza.
A Lisbona l’hanna capito davvero e negli
ultimi due anni ha avuto un incremento degno di nota, io stesso sopravvivevo
anche grazie ai tour di Gets your Guide
in italiano e al Desemprego dopo tre anni di LogIn e LogOut. Che spettacolo
fare la Guida per i Turisti, passeggiare per Lisbona e parlare di Lei col cuore
in mano, raccontando aneddoti e confermando o smentendo vari luoghi comuni. E a
volte le mance erano più dello stesso guadagno, soprattutto quanto ti chiedono
della fede che porti al dito ed emerge il lato “giovane immigrato, sposato, con
un bebè” e il cuore si apre tanto quanto il portafoglio. Eh. Reality.
A proposito di luoghi comuni, devo salvarmi
anche questa idea per un “saggio”.
“La
rivincita dei luoghi comuni” dedicato all’Amico e
Socio “Psyco” aka Dottor Andrea Fischietti e a quelle lunghe converse
avvinazzate, a confermare l’utilità di certi favorevoli luoghi comuni per un
italiano all’estero, certe gioie di essere Made in Italy, certi “vantaggi” che
bisogna iniziare ad apprezzare quando stiamo ancora in Patria, rivalutando
mooolte cose della nostra tanto speciale Italia, così speciale che dovremmo
davvero fermare tutto e salvare il salvabile, adesso. Perchè noi siamo davvero
tipi da “botte piena e moglie ubriaca”
se c’impegnamo.
Nel frappé di tempo.
Ecco a Voi un assaggio di creatività electro Mozambicana.
Nandele, um artista della musica elettronica,
uno che a Maputo sperimenta a sério.
Quella parte giovane e creativa che andavo
procurando, quella più visionaria e contaminata, quella electro. Buon ascolto, è solo un dolcetto per deliziare il palato.
E qui a seguire con un click, Nandele con la
sua The Mute Band.
No, non mi sono perso, volevo solo trasmettere
la sensazione di aver trascorso del tempo a vedere e ascoltare qualcosa di
interessante e di colpo...
È quasi fine mese, i soldi sono già finiti e devo
tornare a Maputo, c’è una famiglia là che aspetta Papà, prenotazioni,
pagamenti? Cosa dovevo fare? Quali documenti? Santo Mino, nonostante tutte le
volte che ci siamo mandati affafantuculu, è lui che entra con un bonifico come
se fosse una punizione di Pirlo, come se fosse un passaggio di Totti, perfetto
per marcare punto e prenotare il volo meno costoso della storia per una Lisbona
> Maputo solo andata e senza corsia d’emergenza. Fecha tudo, baci e abbracci
e scariche di shots di Limoncello, di Grants e altre porcherie. Mezzogiorno di fuoco con tre shots de
aguardente. Cerca un taxi, corri all’Aeroporto, vergogna sei in ritardo su un
volo per la prima volta nella tua vita ed è proprio quando devi tornare
categoricamente ad aiutare la tua famiglia + grande dubbio esistenziale “come
cazzo lo compro un alto volo?” + già lo sai che non puoi + devi salire su
quell’aereo = scena da film, ma se l’aereo parte senza di me schiacciato nel
sedile a godermi il decollo, è tanta merda fino al collo. Check-in chiuso da 4
minuti, non ci credo. Ho due valigie ma posso imbarcarne solo una, quella di
30kg a cui avevo diritto, e l’altra? Giá immagino i vostri consigli... Cerco di
convincere l’Assistente di terra a fare quasi tutto quello che infrange le
normative di sicurezza per tenermi lì una valigia e imbarcarmi l’altra. Cerco
di convincerla che qualcuno la verrà a prendere, una valigia, lasciata da uno
che sembra un Libanese (io), in un’epoca di terrorismo e conflitto religioso,
economico e socio-culturale, cercando di chidere l’impossibile a un’Assistente
di terra Turca divisa tra la voglia di aiutarmi davvero e gli obblighi
professionali della sua uniforme. Ma Santo Kebab, la giovane Turca informa
qualcuno per telefono che è arrivato il pirla dell’ultimo minuto, cerca di
aprire nuovamente il sistema per registrarmi a bordo; scopro che entrambe le
valigie pesano più di 30kg, non si possono calcolare kg in eccesso a check-in
chiuso, non posso imbarcarle, panico, come faccio senza valigie? Ho solo uno
zaino con due cambi, libri, documenti, quattro spicci e ancor meno tempo per
trovare una soluzione e correre alla porta d’imbarco perchè quelli non aspettano
me. La ringrazio di cuore, penso a dove lasciare le valigie, sono pronto a
tutto anche a lasciarle al Duty Free, intanto pattino coi piedi sul pavimento
liscio del Portela, spingendo il carrello carico di due valigie che di colpo
sono una zavorra di cui devo disfarmi, guardo verso gli imbarchi: penso che c’è
anche la fila e i controlli di sicurezza da superare, o mio Dio, il tempo
scorre più del mio sudore sulla fronte, il gate è uno dei più distanti, non
posso abbandonare le valigie, devo fare qualcosa adesso, gate, quo vadis? Finalmente
un momento di lucidità: esco dall’aeroporto, incontro il primo taxi libero,
carico le valigie e spiego qual è l’indirizzo “Lá vai encontrar um senhor, um
meu amigo, Edgardo, alto, forte, entrega a ele as malas! Ele vai pagar-te. Eu
tenho que fugir ou vou perder o voo, desculpa!” e inizio a correre verso i
controlli, intanto telefono a Edgardo e gli spiego al volo perche troverà un taxi
da pagare e le due valigie da guardare in casa. Santo Edgi! La scena del taxi
mi ricorda quest’altra scena stupenda del secondo tragico Fantozzi: Fantozzi,
Filini e Calboni – ne fece chiamare nove. Intanto li avrei chiamati anche io
nove taxi pur di arrivare in tempo ad imbarcarmi, dopo una corsa da infarto
arrivo in tempo per chiudere la fila all’imbarco, non sono ancora partito e
sono già da buttare. Nonostante tutto riesco a farmi Lisbona > Istanbul;
dopo tre ore imbarco per Joannesburg – South Africa e da lì il volo continua
per Maputo – Moçambique.
E rieccomi.
Ci risiamo.
Caos, traffico, andiamo tutti di là, vai tutti
insieme!
Ma corriamo per andare dove?
Lenny Kravitz – Where Are
We Runnin?
Che pezzo. Che video. Che pezzi. Che pazzi a
pezzi.
Un Paese a pezzi, un paese al trancio, vedi il
Nicaragua.
Anche io non scherzo, sono a pezzi. Ma
nonostante tutto: vai, 40º al Sole, il 13 Febbraio 2016 siamo arrivati a 45º e
non succedeva da vent’anni in Mozambico, e io c’ero! E non mi sono sciolto,
yeah. Mais uma mudança, dico “ciao ciao”
alla mia prima casa a Maputo e si va alla ricerca di una nuova casa. Nel
frattempo siamo ospitati nel Bairro Choupal, qualcosa di davvero Africano, ma
anche molto “Mad Max” oltre i confini della Città. Ho scoperto i miei limiti e
ho dovuto superarli. Un italiano deve dimenticarsi che in Italia sappiamo
costruire le case, questa non è l’Italia e al massimo qui ci sono passati i
portoghesi, che di case... Lasciamo perdere. Fatto sta che le case qui hanno
buchi, spifferi e fessure e nel mezzo ci passa e ci entra di tutto. Non ero
pronto per una lotta corpo a corpo così feroce... Il tetto di una casa nel
suburbio spesso è una lamiera, quindi di giorno effetto serra e forno a
microonde messi insieme, ingestibile. E dato che fa caldo bisognerebbe fare più
attenzione a come si conservano certi cibi... Beh, una notte sto rassettando in
cucina, faccio barulho, sposto cose, apro e chiudo il frigo e da sotto vedo
scattare qualcosa che zampetta rapido fin dentro l’armadio, eh... Figliodi. Apro
l’armadio... In basso qualche genio ha lasciato un catino con dentro tre ananas
mezze marce... Come inizio a vedere
movimento vengo assalito dal ribrezzo, mi sento un marine nella scena di "Alien
- Scontro Finale" di James Cameron, quando ci sono i Marines con gli scanner che iniziano a vedere movimento
da tutte le parti... Ecco. Quel catino con tre ananas mezze marce si era
trasformato in un club privé per scarrafoni con un rave party che continuava da
giorni. Schifato e non riuscendo a trattenere bestemmie e forgiando nuove
esclamazioni, tipo “La Madonna Indigena!”
riesco a trascinare nel cortile il catino e prima che scatti il fuggi fuggi generale inizia la mattanza.
Ne contai dodici, di cui un paio erano così grandi che a schicciarli sembrava
stessi spaccando delle noci... Che schifo. Roba che volevo bruciare le ciabatte
dopo quella strage. A mesi di distanza non riesco a essere molto drammatico, ma
vi assicuro che quella volta non c’era niente di maschio in me dal ribrezzo che
mi dava correre dietro a questi scarafaggi che cercavano la fuga disperati,
zampettando a 200mila cm orari. Lo schifo e la disperazione a sapere che ero
circondato, che ne sarebbero tornati altri, che non mi avrebbero mai lasciato
tranquillo... Mi consolai osservando affascinato il metodico lavoro di squarda
che le formiche fecero nei successivi venti minuti; mentre io pensavo a come
ripulire la scena del crimine, squadre di operose formiche rosse arrivarono
eccitate all’idea di tanto cibo! Per loro era una festa fuori programma.
“Smontarono” antenne e zampe agli scarafaggi, la maggior parte si dimenava
ancora agonizzante, e iniziarono a trasportare le carcasse e i gusci verso il
loro formicaio: un buco largo quanto un mignolo, ma riuscirono a farci entrare quattro
scarrafoni senza problemi, un’efficienza e una capacità logistica degne di nota.
Mi ricordarono una scena vista in Israele, a
Tel-Aviv. Un gatto in un cortile stava giocando con qualcosa, pensai ad un topo
o ad una lucertola ma quando mi avvicinai vidi che stava giocando con uno
scorpione. Lo scorpione era ormai esausto di essere il giocattolo del felino, anche
il gatto si stancò di questa roulette russa ad ogni zampata, con il pungiglione
avvelenato in tensione sempre pronto a pizzicarlo, quindi micio-mao optò per
una merenda croccante. Rimangono sul campo le due chele e la coda con il
pungiglione, addio scorpione. Quand’ecco che dal lato sinistro arriva un gruppo
di formiche rosse e dal lato destro un gruppo di formiche nere. Senza dover
discutere o fare questioni tra loro ecco che le formiche rosse si caricano una
zampetta dello scorpione con la chela e le altre nere si caricano l’altra
zampetta con l’altra chela e ciascun gruppo fa ritorno al campo base, tutti
felici, se manha. La coda col
pungiglione se la prende un altro micetto per giocare. Il tutto rapidamente e
senza convenevoli. Mi sentivo un obbiettivo macro del National Geographic
incollato sulla scena. Anni dopo stesso servizio, stesso fascino. Cambia solo la
latitudine e la longitudine.
X e Y.
[ Parentesi National Geographic: tanti anni fa,
strafatto in casa, stavo seguendo a bocca aperta un documentario sulla foresta
Amazzonica dove s’incontrano a volte tribù nomadi di formiche che invadono e travolgono
tutto e tutti lungo il loro percorso (una formica Amazzone è grande quasi un
centimetro) e il documentario mostra
come sono voraci e letali, assaltano, divorano di tutto TRANNE un vermicello
verde chiaro che se ne sta tranquillo a mangiucchiare la sua foglia mentre
intorno questa banda di punkabbestia
stravolge la tranquillità della foresta. E com’è che a questo non gli fanno
niente? La ripresa macro stringe ancor più nel dettaglio ed eccoci, un bel
primo piano sul vermicello, eccolo che gnam gnam si pappa la sua foglia proprio
come noi addentiamo un panino, le formiche gli passano sopra e sotto,
fastidiose e irriverenti, ma vermicello bello na boa non sembra farsene un problema, ma ecco: in cima alla sua
testolina verde il vermicello c’ha un buchetto, come le balene per respirare,
ma da questo forello minuscolo non passa ossigeno, si forma ogni tot secondi
una goccia trasparente, ma non è acqua... È una goccia di puro amminoacido! E
le formicuzze si soffermano a succhiare per bene l’amminoacido che stò verme
secerne a gratis per poi schizzare via velocissime. E ce credo che le formiche non importunano il loro spacciatore, guardale
lì! Una ciucciatina di “latte+” e
schizzano via a tremila pronte a spaccare tutto. Grazie National G per avermi
fatto scoprire che “Anche le formiche, nel loro piccolo, si sballano! ]
Torniamo ad un altro formicaio impazzito:
Maputo.
Dopo una settimana a dar voltas intorno a
Maputo, la moglie trova casa nell’Avenida 24 de Julho, una delle due arterie
principali con l’Av. Eduardo Mondlane. Stesso Bairro, sempreAlto-Mãe, a
200metri da dove stavamo. Traffico, caos, polvere, non mi piacque neanche un
poco ma pensai “l’ha scelta lei ed è una soluzione temporanea”.
Due stanze
grandi, una sala, una cucina quadrata e funzionale, un bagno peggio del primo,
uno sgabuzzino che avevo paura ad aprire e due balconcini da cui tuffarsi sul
traffico. E dall’altro lato scopro un cortile che... Ma come faccio a chiamarlo
cortile? È una striscia di cemento, lunga cento metri e larga dieci e in questo
spazio c’è: la guerra del Vietnam, la guerra delle due Coree, un pizzico di
Afganistan e la camorra c’ha scaricato pure lei qualcosa, i tank dell’acqua, i
generatori, cavi da tutte le parti come fossero liane. Un elettricista italiano
a vedere come son fatti i lavori qui si arrenderebbe alla prima uscita,
figuriamoci l’idraulico. Un’allegra famiglia di ratti, la famiglia Splinter, spadroneggia
“preputentemente” scorazzando da tutte le parti, giocano, squittiscono... Io
sono senza parole. Fortuna che sto al secondo piano... Mi sento molto pezzente,
sento pena per mio figlio, i poveri non dovrebbero fare figli, è vero ma a
quanto pare trombiamo alla grande e funzioniamo bene.
Ma adesso sto esagerando, niente di tutto
questo. Sto facendo il pirla, spengo e vado a fare una passeggiata. Quando
torno round finale e chiudiamo questo secondo capitolo, dai.
Então, anche nella casa nuova il trauma
scarafaggi mi venne a fare visita.
La questione non è quanto tu pulisci, è che
loro ci sono. Ma in questi momenti le difficoltà della vita a volte ti aiutano
a essere leggerissimamente incazzato
e a rientrare in casa affrontando con coraggio il problema di là in cucina. In una settimana mi trasformai in un
killer di blatte infallibile. Trova, stana, elimina. Interceptor. Quasi un vizio il
controllino in cucina prima di andare a dormire la sera. Decimata la
colonia passai alla guerra pesante. Non accettavo l’idea che quel “cortile”
restasse così.. Così, come dire.. Così com’è tutt’ora insomma. Non accettavo
che quelle guardie stessero lì tutti i giorni a lavorare senza mai aver pensato
che l’iniziativa di bonificare quel “Congo
Armato e incazzato” di “cortile” era sana e giusta per tutti, prezzi a
parte. E l’altro problema era che pure io ci dovevo convivere con il “cortile”.
La fonte d’acqua principale era là in basso. Spesso manca l’acqua e se il tank
di scorta non è tanto pieno, vai di taniche! Il mio momento ginnastica. Si
arriva là in basso con le taniche vuote, attento a dove metti i piedi, vai al
rubinetto principale, preghi che ci sia acqua, fai il pieno e torni su carico. E
pensare che in quello schifo una mattina senz’acqua c’ho trovato là in basso pure
una principessa vestita con uno straccio, altro che Cenerentola... Una vicina
che non avevo mai visto, una bellezza mozzafiato, nonostante lo straccio di
vestito, ma che ci fa in mezzo a quel disastro? Ci vive??? Principè! Vabbè pensiamo alle taniche piene d’acqua per favore. Provai
a fare la scala interna al “cortile” per farla corta e non dover passare da
fuori fino al portone, ma non avendo un machete
desistì.
Una settimana dopo, molto più convinto (ero incazzato) ho affrontato
quella rampa di scale per caricare una decina di taniche d’acqua, sembrava un
livello di Prince of Persia sul 486,
con gli ostacoli e i trabocchetti da evitare. Dal tetto almeno avevo soddisfazioni,
o meglio, ne avrei potute avere stando con gli amici a berne una e sparare con
la carabina sui ratti nel “cortile”. L’ho desiderato tanto, non accettavo il
loro scorrazzare libero, mi rappresentano la peste, mi stanno sul cazzo. Indurito
da numerosi corte d’energia e falta de agua, mi ero già rotto i coglioni. Mi
sfogai coi ratti. Comprei con davvero poco una cosa chiamata “Veleno per topi”
e la mostrai alle guardie che bazzicavano là sotto, come dire “esiste un
sistema” ma ammetto di aver compreso che il problema era solo mio; era la mia
cultura da Varesotto che m’ha cresciuto in luoghi sicuri, puliti, disinfettati,
(un’eccellenza per dirla alla
Formigoni) da non poter accettare altre forme di vita nel cortile diverse da
esseri umani, cani, gatti e pollame vario. Accetto anche le capre e le vacche,
dai, bella di indù, dai vieni anche tu! Ma i ratti no, a prescindere che non
avrei mai usato quel “cortile” per qualcosa a parte stè questioni basiche tipo
l’acqua quando non sale lei da te e vai te da lei. Squit!
Non potendo cecchinare dal terrazzo
sbevazzando con gli amici e grasse risate, passai alla guerra chimica. Seminai
veleno nei punti di aggregazione e di passaggio che conoscevo, ne stesi quattro
in una settimana e smisi di vederli giocare felici nel “cortile”. Fui un
perfetto stronzo, perchè i topi morti toccava poi alla guardia di turno tirarli
su per la coda e buttarli via. Io restavo sul terrazzo con gli amici
invisibili.
La vista dal rooftop era suggestiva, sulla
Baixa e sui “pennacchioni” i palazzi più alti e il crocifisso della cattedrale,
della chiesa, di quella cosa bianca in centro. Ma come faccio a parlare di una
vista dal tetto dopo che ho vissuto a Lapa a casa di Tin, “l’ambasciata Slovena
non ufficiale” essendo lui sloveno e molto brillante, molto. A 24 anni essere
un Istruttore di Surf e avere una casa così con una vista super così, a
Lisbona, Lapa, che vedi da Graça, Castello, le torri gotiche della Sé, Tejo,
taaanto Tejo, tutte le albe, tutto il Margim Sul che si affaccia sulla foce del
Tejo, le prime curve dell’Azeitão, colline che nascondono Sesimbra, Cabo
Espichel, tuuutta Caparica, fino a dietro al Cristo, fino ad Almada, fino al
ponte, fin sotto al ponte, Calvario, Alcantara e si risale fino all’imbocco di Rua da Lapa. E mi ritrovavo
sepre meravigliato e stupito d’esser riuscito a vivere in quella casa che tra
colleghi etichettavamo come la casa de “i Party di Tin” accendendo sorrisi e
illuminando i volti di chi aveva visto, di chi aveva vissuto quella meraviglia
di feste sul tetto, con Lisbona ai tuoi piedi e sei pronto a volare sul serio,
su qualsiasi letto. Ho vissuto un’apoteosi in quei dieci mesi a Lapa da Tin,
grazie amico, grazie Lisbona, grazie Vita. Quei dieci mesi che ripensandoci mi
stampano un sorriso sulla faccia, più tutto il resto!
Quattro anni a Lisbona,
ma perchè ne sono uscito? Ah si, volevo vedere l’Africa.
Bene, eccoci qua.
Vita in città e un pò di periferia, per adesso
è un trip Afro Metropolitano, ma le poche sortite fuori città mi hanno già
soddisfatto e dato speranza che c’è quello che cercavo: uscire dalla città e
dai sistemi organizzati. Almeno un poco. Prendere il barco, un battello
arrugginito, attraversare il fiume, spesso qualcuno ha l’altruismo di mettere
lo stereo appalla con l’Afro Beat a
trasformare quella ferraglia che galleggia e sbofonchia diesel puzzolente, in
un Boat Party ondeggiante e pericolante. I tamarri qui dominano. Altro che la
periferia di Gallarate negli anni ’90, tsè, dilettanti. Qui a Maputo una serata
animata e un locale animato lo fai all’angolo di una strada con: una baracca
con dentro un congelatore ed un frigo stracolmi di birra freschissima + una
macchina parcheggiata con portiere e bagagliaio aperti + Afro Beat appalla e nada mais, tà feito, hai
vinto. Cioè, è quello che vedo per strada, a quel punto non ci sono ancora
arrivato. C’è molto altro, non ho ancora detto niente sul Núcleo de Arte, sul
lavoro, sul primo impiego e poi il secondo, quello “giusto” subito dopo, nella
stessa Avenida, qualche metro più in là... Quante cose, la prima volta a Matola
a casa di Victor lo Scultore; la scena coi jeepponi scortati dalla polizia tipo
film che mi ha ricordato la scena assurda che ho vissuto io, con George, Fede e
Mantufello, dietro all’Autorgrill sull’autostrada per Milano, alle spalle di Pogliano,
incappando accidentalmente in un pedinamento dei Carabinieri appostati a spiare
due tizi che stavano parcheggiati a fianco, che scena e quante altre.
Ma arriviamo almeno dall’altra sponda di
Maputo: a Catembe.
Dove finiscono le case e le strade ma dove
forse finiranno anche in due anni un nuovo ponte che collega questa sponda con
Maputo, semplificando notevolmente la viabilità verso il confine con il Sud
Africa, Durban etc. Io non sono ancora manco arrivato alla “Punta d’oro” dove
già si possono vedere gli elefanti e tanto altro. Catembe m’ha fatto respirare
e percepire la vastitá di terreno incolto e selvaggio che mi circonda. È
tanto, è confortante, è profondo. Arrivo
dalla parte opposta quindi sì, lo sento che è tanto spazio nel mezzo, tanta roba, eppure è un niente da altri
punti di vista. A Catembe solo casupole, orticelli e sentieri, tutto molto
tranquillo, una serenità che ti conquista e vuoi subito anche tu comprarti una
casa e un fazzoletto di terra prima che finiscano il ponte, prima che la zona
sia esclusiva e che i prezzi vadano alle stelle. Catembe, una passeggiata nella
campagna Africana e dalla cima di una collinetta la vista di Maputo, che da lontano
sembra una di quelle metropoli americane. Che stile, che caos contaminante,
quanto respiri il valore di ogni istante, quanto è fragile la vita, quanto è
arduo arrivare ad avere un domani, tanto quanto trattenere la sabbia tra le
mani, tanto quanto fermare le miei dita sopra questi tasti, quando entra qull’ispirazione
che ti giustifica tutto, anche i respiri.
Mi fermo qui, non ci entra davvero tutto, è
vergognosamente lungo, già così ho dovuto censurare una parte e chissà quanto e
cosa taglierò a rileggere questo post.
Narghilè e caffè, Istanbul, Beirut,
Gerusalemme e un Italiano a Maputo,
nell’Avenida Eduardo Mondlane in un caffè di
Libanesi.
Ci vengo perchè il caffè è buono e il profumo
del narghilè mi riporta in Medio Oriente.
Qui tra i Mozambicani noi Mediterranei
sembriamo tutti fratelli,
stesse facce barbute da brutti ceffi.
Continua...
Amo questo puma scrittore!
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